Oltre il buio
Corso di formazione alla Mondialità e Missionarietà
3 maggio 1997
OLTRE IL BUIO.
I motivi del fenomeno immigratorio, le difficile condizioni di vita
e la speranza di ogni immigrato.
Bruno Mioli
Non chiamatemi competente perché siamo sempre dei principianti. Mi piace tanto il titolo di questo incontro.
In questi giorni ho scritto per una rivista un articolo dal titolo dell’articolo “la Madonna tra gli immigrati” e ho ricordato quello che ho visto in una chiesa di una città degli Stati Uniti, ma era l’esempio di ciò che c’era in tante altre città. Nella città di Bufalo nella chiesa di sant’Antonio c’erano esposte 11 statue della Madonna. Questa era una chiesa delle origini costruita alla fine del secolo scorso per una grande comunità di italiani. Oggi ci sono altre chiese nuove. Ora hanno fatto anche una costruzione che chiamano panteon dove mettono dentro tutte queste statue. Vedere tutte queste statue oggi desta l’umorismo, ma è invece una cosa molto seria perché attraverso queste devozioni popolari si è salvata in gran parte la fede dei nostri emigrati all’estero. E’ stato un modo di ancoraggio della loro fede, questa religiosità popolare particolarmente verso la figura della Madonna. Sul piedistallo della statua c’è scritto il paese di origine degli emigrati che a garanzia di protezione si sono portati dietro il loro Santo, la loro Madonna. Ho detto questo perché lo collego a quanto è avvenuto il 16 marzo a Roma: alle varie comunità etniche è stato consegnato, in segno di partecipazione alla grande missione cittadina, il Vangelo di Marco stampato dalla diocesi di Roma in spagnolo, in cinese, polacco, ecc. ecc. La celebrazione è cominciata da Piazza della Repubblica per entrare nella grande chiesa di Santa Maria dei Martiri e ogni gruppo etnico si è riunito intorno alla sua Madonna. Mi è venuto così spontaneo il commento: ma guarda un po’: prima la Madonna ha attraversato l’oceano con i nostri italiani accompagnadoli non solo nell’America del nord ma anche in americana latina, ecc. ed adesso che c’è questa ondata che attraversa l’oceano in senso inverso la Madonna attraversa anche lei.
Parliamo del nostro tema molto vasto: i motivi del fenomeno immigratorio sono molti. Quello che avviene in Italia è una piccola espressione di un grande movimento che è in continua ascesa. Dati pubblicati annualmente dall’ONU, ricordo quelli di due anni fa, parlano di 130 milioni di emigrati, tutta gente che vive fuori dalla propria terra. Ci sono zone che sono censibili ma ci sono zone come in Africa che non lo sono. Persone che si spostano da una nazione all’altra e in mezzo non c’è frontiera e c’è un movimento immenso. Certo non si può censire, e sfugge alla comunità internazionale, quello che c’è in Brasile e che ho visto con i miei occhi negli anni settanta: dal nord del Brasile scendevano verso il sud milioni di persone che si mettevano attorno a città come San Paolo o Rio de Janeiro e facevano la grande cintura di miseria. Al contrario persone che nel sud del Brasile avevano fatto un po’ di fortuna o comunque in qualche modo si erano un po’ realizzate, soprattutto famiglie di origine italiana o tedesca, passavano al nord del Brasile per trovare nuove terre oppure passavano nel Paraguay. Nell’arco di vent’anni decine di milioni di persone si sono mosse all’interno di un solo paese. Quindi capite che quello che riguarda l’Italia è un piccolo aspetto di questo immenso fenomeno. Ho portato anche dei grafici per far vedere quali sono le grandi aeree delle emigrazioni internazionali.
Un’altra premessa, oltre a quella dell’emigrazione internazionale, che da uno sguardo alla geografia umana. Diamo uno sguardo anche alla storia recente, recentissima, dell’Italia. Abbiamo alle spalle 30 milioni di italiani che dall’unità d’Italia in avanti hanno lasciato l’Italia. Questo è un dato certo. L’ufficio centrale di statistica dal 1876 ha segnato anno per anno gli emigranti per motivi di lavoro. Dal 1876 al 1914 sono emigrati 14 milioni di italiani (350 mila all’anno). Nel solo anno 1913 sono emigrati 872.000 italiani. Dalla fine della prima guerra mondiale fino all’inizio della seconda guerra, cioè nel ventennio fascista, sono emigrati 4.355.000 (161 mila all’anno). Finita la seconda guerra mondiale comincia di nuovo il grande esodo, non solo dal sud verso il nord Italia, ma ancora verso l’estero e soprattutto dal Sud e dal Veneto: 7.440.000 (240 mila all’anno) fino al 1976. Perché 1976? Perché dalla metà degli anni settanta è cominciata la tendenza opposta cioè i rientri hanno superato le uscite dall’Italia.
Perché dico questo? perché credo sia elementare saggezza umana ricordare che anche noi italiani siamo stati emigranti oltre al richiamo biblico quale “ricordati Israele che anche tu sei stato straniero” che era per un ossequio a Dio che li aveva tolti dalla terra straniera ma anche perché fossero rispettosi e accoglienti verso gli stranieri.
Val la pena di ricordare che ci sono ancora 5 milioni di italiani, con passaporto italiano, cittadinanza italiana, diritto al voto, che vivono all’estero. Senza ricordare i milioni di discendenti di italiani che vivono all’estero, perché non si finirebbe più. Ricordiamo gli italiani del sud che in questi ultimi anni hanno ripreso in modo silenzioso la marcia verso la Germania. Ora è difficile calcolare perché c’è la libera circolazione della mano d’opera nessuno più tiene conto dei movimenti. Ma per esempio da Caltanissetta partono ogni settimana due corriere per la Germania. Questo per dire che è una cosa che ci tocca ancora da vicino. La polizia di New York dice che a Brooklyn sono insediati circa 30.000 clandestini italiani. Sono nipoti dei primi immigrati in America che vanno in visita e poi si fermano li e vanno a far pizze nei ristoranti o altre cose Quelli che noi denunciamo come fenomeni negativi dell’immigrazione in Italia li viviamo ancora come italiani che emigrano. Due pesi e due misure. Quindi “ricordati italiano che anche tu sei stato straniero..” per non crederci bersaglio di non so quale invasione che invece è un fenomeno ordinario che riguarda tutta l’Europa. La media di popolazione straniera in Europa è di 4,6, in Italia non si arriva al 2%. In Francia sono il 6%, in Germania l’8%, in Belgio il 10%, ecc.
Ora per conto mio è importantissimo fare verità. Accoglienza richiama la grande regola cristiana dell’amore, della carità nel senso più alto della parola. Ma prima di questo bisogna fare giustizia, ma prima ancora fare verità. Non accettare che si spari così sugli immigrati perché si tratta di carne umana e cominciamo a mostrare rispetto verso gli immigrati andando piano, con cautela, nel quantificare. Qui vi ho messo l’ultima tabella del Ministero degli Interni fatta in base ai permessi di soggiorno che le questure rilasciano, quindi si tratta di immigrati che sono presenti regolarmente. Sono però cifre da prendere sempre con cautela perché è facile equivocare. Per togliere il primo equivoco. Si nota che ci sono 1.095.000 immigrati! Teniamo conto che di questi, 152.000 sono comunitari e questi non fanno problema. Qui a Firenze c’è un alto numero di statunitensi e anche di tedeschi , ma questi non fanno problema. Quando diciamo extracomunitari non intendiamo solo quelli che vengono in ricerca di lavoro spinti dalla miseria o dalla fame dai paesi in via di sviluppo, ma extracomunitari sono anche gli statunitensi. Quindi ci vuole cautela nel leggere le cifre. Alla fine del ‘95 inizio ‘96 erano 991.000 secondo i dati del ministero degli interni quest’anno 1.095.000 per cui sono cresciuti di poco più di 100.000, invece in realtà sono cresciuti di più perché a quelli si devono aggiungere 240.000 che non solo hanno chiesto regolarizzazione in base al decreto Dini, ma hanno anche ottenuto il permesso di soggiorno. Poi un 18.000 di ricongiungimenti familiari; un 20.000 arrivati in base alla programmazione dei flussi, un 30.000 (ma forse sono di più) di bimbi che sono nati in Italia, e inoltre i minori che ordinariamente non sono censiti perché iscritti nel permesso di soggiorno di uno dei due genitori. Aggiunte queste cifre si arriverebbe a 1.300.000. Però l’ISTAT dal 1992 sta revisionando tutti i dati pervenuti del ministero dell’interno e attraverso verifiche incrociate ha decurtato le cifre del mistero dell’interno quasi del 30% per cui torniamo a circa un 1.000.000 di presenze straniere in Italia. A questo milione se togliamo gli extracomunitari come svizzeri, statunitensi, ecc. rimangono circa 750.000, dato certo di persone regolari naturalmente però ci sono da aggiungere i non regolari chiamiamoli pure clandestini, però, dopo l’ultima regolarizzazione si dice che sono emersi dalla clandestinità circa 250.000 pensiamo che ce ne siamo ancora 200.000 forse 250.000 quelli che sono ancora clandestini ma non il milione di cui si parla e che non si sa come si facciano a sparare queste cifre.
Secondo i dati di giugno ‘96 in Toscana ci sono circa 80.000 extracomunitari. Nella tabella che vi ho dato sono divisi per nazionalità e c’è anche il tentativo di attribuire l’appartenenza religiosa a queste persone a seconda della provenienza. Alla fine del ‘96 a Firenze gli immigrati erano circa 80.000 fra questi i cattolici sono circa il 30%, i cristiani non cattolici sono circa il 25% e il 30% sono mussulmani, poi ci sono i cinesi .
Cerchiamo di fare verità sulle cause dell’immigrazione. Il primo è un diritto naturale di emigrare. Il Papa quando manda i messaggi sull’immigrazione traduce con una formula, diciamo, simpatica e cioè: “il diritto di sedere alla comune mensa della creazione”. Nel 1992 il Papa l’ha usata in riferimento alla parabola del ricco epulone. Il diritto di sedere tutti alla mensa della creazione fa da contrappeso a quella tavola ben imbandita a cui addirittura i cani possono mangiare le briciole ma al povero Lazzaro non è consentito. Quanti poveri Lazzaro, dice il Papa, tentano di poter mangiare le briciole della tavola imbandita del nostro opulento occidente e non è loro consentito; sembra quasi un linguaggio demagogico ma se riflettiamo bene non tratta di demagogia, ma si tratta di prendere sul serio gli avvertimenti del Vangelo.
Quindi la prima causa dell’emigrazione è un causa estremamente positiva, è il diritto di piantare il mio destino dove meglio posso sviluppare la mia personalità e dare sicurezza alla mia famiglia. Ma la stragrande maggioranza delle emigrazioni moderne non sono spiegate da questo diritto innato (emigro ma potrei stare anche nella mia terra) ma sono emigrazioni forzate dalla miseria, dalla disperazione, ecc. Quindi non per un istinto di migliorare me e la mia famiglia, me per un istinto di sopravvivenza, vivere bisogna e allora tento anche l’impossibile. Quelli che vengono dall’Albania di notte su un gommone sono gente anche ingannata, ma che si lascia ingannare fino a quel punto perché alle spalle ci sta una spinta direi mezza disperata.
Per cui la seconda causa dell’emigrazione è lo squilibrio economico.
Qualche anno fa’, prima che succedesse l’inferno, ho fatto un viaggio in Ruanda e in Burundi per capire la situazione e poi trovare in Italia un po’ di soldi per pagare gli insegnanti che si occupavano dei profughi che dalla Tanzania, dopo un esodo durato vent’anni, tornavano nel Burundi. Quei ragazzi dovevano essere aiutati, perché passavano da una zona dove si parla inglese ad una dove si parla francese, ad apprendere almeno i fondamenti del francese in modo che non perdessero ulteriori anni di scuola. Pensavamo di pagare gli insegnanti 60.000 al mese, per pagarli bene perché secondo le tabelle ne avrebbero dovuto ricevere 40.000.
Quindi capite che sproporzione economica c’è con noi. Dal 1960 il prodotto interno lordo da noi è triplicato, ma anche la ricchezza delle singole famiglie ha fatto questo balzo in avanti, là invece non c’è stato questo balzo. Eufemisticamente, in confronto ai nostri paesi a sviluppo avanzato li chiamiamo paesi in via di sviluppo, ma onestamente metà di quei paesi, l’ONU ne censisce una sessantina, dovrebbero essere chiamati, specialmente in Africa, paesi in via di progressivo sottosviluppo.
In occidente nonostante i problemi stiamo bene e nessuno patisce la fame. Anche in Italia e nell’occidente in genere si va incontro a squilibri sempre maggiori e la Caritas è benemerita in Italia perché fa vedere anche questo progressivo depauperamento delle famiglie italiane: però io dico che, nonostante, qui si sta bene. In Africa invece lo squilibrio economico induce certe forme di squilibrio sociale: la scolarizzazione è molto scarsa, l’analfabetismo è alto, la mortalità infantile , ecc. ecc.
Squilibrio economico é poi da coniugare con lo squilibrio demografico. Quanto a squilibrio economico è inutile che ripeta quelle cifre, che vengono dette anche ad altissimo livello mondiale, in base alle quali si rileva che siamo nella sproporzione 80% – 20%. Nel terzo mondo c’è 80% della popolazione che consuma il 20% delle risorse. Noi siamo il 20% della popolazione e consumiamo l’80% delle risorse. Lo squilibrio va a forbice perché trent’anni fa non era il divario non era poi così rilevante. Nel 1950 la popolazione mondiale era di due miliardi e mezzo, nel 1990 cinque miliardi duecentonovantadue milioni. L’ONU ha celebrato quando é nato cinquemiliardesimo uomo nel mondo. Adesso siamo quasi sei miliardi e nel duemila saremo sei miliardi e duecento milioni. Queste non sono cifre inventate. Nell’arco di una generazione e mezza siamo quasi raddoppiati, anzi più che raddoppiata; non è detto che andremo avanti con questo ritmo però il trend è ancora di questo. Mentre 1950 i paesi ad alto sviluppo erano il 33% della popolazione e gli altri il 67%, nel 2000 saremo il 20% contro l’80% tradotto in cifre un miliardo duecento milioni contro quattro miliardi e novecentonovantesette milioni. Queste sono cifre che nessuno inventa, sono reali.
Sarebbe, quindi, ingenuo per non dire ipocrita meravigliarci dell’emigrazione. Perché si emigra? Per questa spinta inesorabile che è una spinta vitale. L’emigrazione è quindi un processo irreversibile per quei motivi basilari che abbiamo già detto, poi ci sono altre cause prima della quale e la catena migratoria (è successo così anche per gli italiani si spopolavano i paesi per raggiungere i parenti negli Stati Uniti o in Brasile: vieni perché io in qualche modo mi sono sistemato e ti aiuterò). Andando in Brasile ho travato nuova Trento, nuova Vicenza, nuova Roma, nuova Brescia, nuova Rovereto. La catena migratoria esiste anche ai nostri tempi, anche per i senegalesi esiste, anche per ….. ecc. esiste. Oltre a questa catena migratoria esiste anche il condizionamento dei mass media. In Tunisia da tanti anni arriva il TG 1 italiano, così in Albania e loro vivono già di una cultura, sia pure quella più superficiale, che c’è qui in Italia e questo ha avuto un forte peso per l’emigrazione all’interno della nostra area mediterranea. Un’altra causa è quella dell’inurbamento. Di solito chi emigra ha già fatto una prima esperienza emigratoria dalla campagna alla città di fatto ha già cambiato cultura, ha già cambiato modo di vivere perché ha conosciuto chi tornare dall’emigrazione, ha contatto i turisti, ecc. per cui ha già un’apertura mentale o delle aspettative per cui ha cominciato ad uscire dal fatalismo del “così si è sempre vissuti nel mio villaggio”, adesso pensa “così si é sempre vissuti, ma non è detto che così si continui sempre a vivere”. Il primo cambiamento è trampolino per l’ ulteriore cambiamento. Sono stato diversi anni in provincia di Lecce e mi interessavo anche della storia dell’emigrazione dopo l’ultimo dopo guerra. Per molti che sono emigrati dalla zona di S. Maria di Leuca, che è tutta sassi, alla zona vicino ad Otranto che era stata bonificata, fu una promozione economica minima, ma facendo questo passo hanno sentito che altri erano andati in Svizzera, e loro avevano una nuova disponibilità per tentare qualcos’altro. Quando uno fa il primo passo e probabile che poi faccia anche il secondo.
Queste sono delle concause ma la causa fondamentale rimane l’enorme squilibrio economico e demografico.
Il secondo punto della mia relazione è fare giustizia. Constatato che loro sono nel massimo della depressione, noi, con tutti i mezzi, tentiamo di provocare il massimo della promozione.
I primi responsabili di questo squilibrio siamo noi paesi ad alto sviluppo che regoliamo lo sfruttamento delle materie prime e ne determiniamo il prezzo. Chi è che ha le industrie e i capitali? Chi è che fa i giri e i giochi di borsa? Chi è che una notte a Chicago fa si che il prezzo della soia che coltivano i contadini in Brasile sia dimezzato? Il mercato andava bene e loro hanno seminato la soia per raggranellare qualcosa, ma in una notte qualcuno ha deciso che il prezzo della soia fosse dimezzato. Il funzionamento del commercio, le banche, ecc. è tutto un sistema che abbiamo in mano noi occidentali compreso il Giappone ed è il sistema che noi facciamo non solo a nostro uso e consumo, ma lo facciamo a nostro uso, consumo e spreco a danno, privando di ricchezza, degli altri. Il Papa ha scritto moltissimo sull’emigrazione, tanti messaggi, ma il documento principale e la Sollecitudo Rei Socialis dove non si parla mai di emigrazione, ma si parla dei meccanismi perversi delle strutture di peccato che provocano questo squilibrio mondiale. Negli anni settanta, ai tempi della Popolorum Progressio si parlava con un linguaggio nato fuori dell’ambito ecclesiale, di nuovo ordine mondiale. Si viveva nella fiducia che, pur con tanti sgambetti, ecc., si andasse verso un nuovo ordine mondiale. Qual era il grosso impedimento? La corsa agli armamenti! Cade il muro di Berlino e invece di andare verso un nuovo ordine mondiale si continua ad andare sempre peggio. Il Papa nella Sollecitudo Rei Socialis commemora la Popolorum Progressio e parla proprio di meccanismi perversi, di strutture di peccato. Non si tratta solo di colonialismo e di neo colonialismo, ma si tratta proprio dell’impostazione economica, della struttura produttiva e della distribuzione. Se queste le manteniamo così come sono ora diventa una grossa responabilità. Quindi parlando di fare giustizia, senza usare termini demogogici, occore porsi il problema della cooperazione allo sviluppo di quei paesi e non solo perchè si tratta di un vero problema di restituzione, ma perchè si tratta di fare giustizia verso quei paesi.
Domandiamoci: a che punto siamo nel fare giustizia? L’ONU dice che per cooperare allo sviluppo di quei paesi l’ideale sarebbe che i paesi ad alto sviluppo dessero lo 0,7%. L’Italia era arrivata vicina dando lo 0,5%, ma dall’87 in poi è calata ed ora siamo sotto il 2 per mille. Abbiamo una crisi economica, abbiamo una legge finanziaria, e dove andiamo a sforbiciare? Nella cooperazione! che poi dobbiamo considerare che i contributi allo sviluppo sono contributi a nostre industrie per andare a collocare il loro prodotti eccedenti.
Dobbiamo cercare qualche soluzione saggia, anche di calcolo di torna conto, perché prima di tutto abbiamo a che fare con un fenomeno irreversibile. Anche se chiudiamo le frontiere, anche se costruissimo una diga enorme non otterremmo niente. Una diga ferma l’acqua si, ma per quindici giorni, un mese o forse un anno ma poi l’acqua tracima, non c’è dubbio, e se poi la diga non fosse tanto resistente e, invece di tracimare, crollasse produrrebbe effetti devastanti. L’emigrazione mossa da un istinto di sopravvivenza è un fenomeno irreversibile e nessuno la fermerà. Avete visto qualche volta alla televisione il muro steso tra Stati Uniti e Messico? E’ un muro che corre per centinaia e centinaia di chilometri, fatto di reti e altro materiale, eppure più di mezzo milione di latino americani ogni anno lo passano clandestinamente. In Europa sembra che la Germania tenga più a bada il flusso migratorio e più ancora la Svizzera, ma l’anno scorso la polizia italiana ha respinto ottomila immigrati che dalla Svizzera cercavano di entrare in Italia. Non c’è nessuna nazione che anche se volesse possa pensare alla chiusura delle frontiere o alla cosiddetta opzione zero per quanto a programmazione dei flussi. Se non entrano per la porta entreranno per la finestre, se non entrano di giorno entreranno di notte. I Curdi che sbarcavano in Puglia andavano in Germania dentro a grossi camion frigorifero. Però dalla Germania vengono giù i Peruviani, perché dal Perù si può entrare senza visto di ingresso in Germania.
Dunque bisogna venire a patti, bisogna cercare che ci sia ordine, che ci sia una regola, che sia lo stato che gestisce questo fenomeno. Non si può dire non lo vogliamo chiudere è una grande utopia, è un incoraggiare l’immigrazione clandestina. Dopo se avremo un momento parleremo della legge sull’immigrazione. Bisogna tenere aperto un spiraglio secondo quello che sono le possibilità di lavoro in Italia, ma senza uno spiraglio aperto di immigrazione sicuramente si incoraggia l’immigrazione clandestina con tutti i drammi conseguenti. Si è parlato della tragedia del Venerdì Santo nel canale di Otranto, però, c’è stato un silenzio sconcertante sull’affondamento di una nave, anche quella per speronamento, avvenuto nella notte di Natale di una nave piena di Curdi, di Sri Lanka, ecc., vicino a Malta. Erano circa duecentottanta persone.
Quindi o incontro o scontro, è saggezza perciò cercare l’incontro. Un altro argomento di semplice buon senso è il calo demografico che riguarda tutta l’Europa e l’Italia che è, scesa oltre la soglia zero in diverse regioni d’Italia. C’è stato scalpore quando il ragioniere generale dello stato, Monorchio, ha detto che noi abbiamo bisogno da 50 a 150 mila immigrati all’anno.
INTERVENTI
D. – Abbiamo parlato degli aspetti positivi dell’immigrazione ma ci sono inevitabilmente degli aspetti negativi. Come comportarsi di fronte a comportamenti anche fastidiosi di extra comunitari?
R. – Dovrebbe essere abbastanza semplice. Guai per esempio a dare una casa, certo a prezzo favorevole, e non esigere che venga tenuta bene. Guai a chiudere gli occhi con gli immigrati solo perché sono tali. Proprio per la stima che abbiamo di loro crediamo che possano comportarsi da persone civili. A Arzignano dove ci sono concerie ci sono molti ghaneesi, all’inizio per loro arrivare mezz’ora o un’ora più tardi è normale, ma quando vedono che sono minacciati anche di licenziamento capiscono e si adeguano. Insomma non si può essere indulgenti perché siamo di fronte a una cultura diversa: se si inseriscono nel sistema lavorativo italiano devono imparare ad accettarne le regole. In Svizzera una cittadina di 25000 abitanti aveva 5000 italiani. Gli svizzeri il Sabato e la Domenica vanno fuori in campagna o stanno a cassa. Gli italiani se ne andavano per le strade a braccetto cantando: avevano sconvolto la cittadina. Nelle nostre missioni ha fatto tante volte irruzione la polizia per le proteste dei vicini che sentivano rumore fino alle 10 di sera mentre alle 9.30 si doveva fare silenzio. Noi dicevamo: voi accettate il lavoro e il salario della Svizzera, dovete accettarne anche le regole.
D. – Nella nostra parrocchia, S.Maria a Novoli, grazie anche al parroco che ha questa sensibilità, ci troviamo di frequente con gruppi di extracomunitari, della Bosnia, Albania, ecc., sia in chiesa per pregare, sia durante feste particolari, per incontri, pranzi sociali (extracomunitari vengono con le suore di M.Teresa di Calcutta). Ognuno si siede dove vuole e nessuno chiede loro a che religione appartengano.
Don Sergio – Questa ultima osservazione potrebbe portare a introdurre il tema dell’evangelizzazione.
R. – Come missionario e come incaricato nella Chiesa italiana dei problemi specificamente pastorali, sarebbe assurdo se non toccassi il problema pastorale. La fondazione MIGRANTES ha lo scopo di assicurare agli immigrati che la loro vicenda migratoria non comporti traumi o il meno possibile alla loro vita religiosa. Sarebbe brutto se accanto allo sradicamento dalla terra, dalle famiglie, dalle abitudini e dalla lingua ci fosse anche lo sradicamento da quel contesto culturale, da quelle forme espressive della loro religiosità. In conclusione si vuole favorire in tutti i modi la normalità della loro vita religiosa anche in situazione migratoria. Questo può avvenire anche con l’inserimento nelle parrocchie. I parroci hanno la responsabilità di tutti i fedeli che sono territorialmente nella loro parrocchia. A questa responsabilità si aggiunge l’attenzione perché queste persone possano costituirsi in comunità di fede secondo la loro etnia, la loro lingua ecc.
Per esempio i filippini a Roma hanno avuto una bellissima basilica vicino alla stazione: quella è la loro parrocchia. Da lì parte una irradiazione di 32 centri sparsi nella città. Ognuno di questi 32 centri ha un’assistenza religiosa che non è solo la S.Messa, ma la catechesi e poi c’è la piccola cucina dove mangiano insieme, si incontrano. Ricostruiscono in qualche modo la vita di quando erano nelle Filippine. Anche i battesimi e i matrimoni li fanno lì. Il responsabile della comunità ha – potremmo dire – le facoltà di un parroco comune. Voi capite che ci sono qui due esigenze da salvare: prima di tutto che condividano questo trauma dello sradicamento e che siano favoriti nello sviluppare la loro fede come quando erano nella terra di origine. D’altra parte, però, si deve fare attenzione che non si creino delle emarginazioni ulteriori, dei ghetti. Per esempio: lo scout ha tutta la sua attività di scout, ha anche la Messa degli scout, ma è uno scout di una parrocchia. Pensiamo ai gruppi di catecumenato. La fede dei nostri italiani in America è stata salvata attraverso questa presenza. Il fondatore ha voluto questi gruppi di missionari e missionarie perché fossero presenti fra gli immigrati. Queste persone andavano a New York: la dispersione geografica diventava anche dispersione religiosa per cui si costituivano queste parrocchie “personali” come c’erano per i polacchi, per gli spagnoli. Adesso non ci sono più perché sono diventati inutili. La pastorale migratoria ha senso se orientata a divenire inutile a un certo momento per quella determinata categoria.
In Brasile fa un effetto enorme quando si va all’interno del Rio Grande do Sur, S.Paolo. Lì la struttura anche civile ma soprattutto quella ecclesiale è stata fondata da milioni di italiani e tedeschi che sono andati e hanno popolato da contadini quelle terre. Da dove venivano fuori le prime chiese, le prime scuole? Non c’erano radio, ferrovie, strade, niente e dovevano vivere comunque lì.
In Brasile è avvenuto un fenomeno missionario di prim’ordine, cioè la “implantatio ecclesiae”: la chiesa è stata impiantata da questi gruppi di immigrati, ma dopo la terza generazione sono diventati brasiliani come tutti gli altri.
Le più belle parrocchie che avevano i missionari scalabriniani sono diventate la cattedrale di una diocesi, oppure le abbiamo consegnate al vescovo: sono pienamente integrate nel tessuto sociale e anche ecclesiale.
3.000 km a nord ci sono i nuovi brasiliani che si sono spostati là e noi seguiamo queste persone che faranno la stessa cosa, impiantando attraverso l’emigrazione la chiesa in quei posti. Intendo dire che in un primo momento, che può durare due generazioni, si cerca che la comunità etnica abbia anche una sua configurazione pastorale e diventi una comunità pastorale che durerà finché sarà inutile.
Qui in Europa abbiamo ancora 300 missioni italiane: si chiamano missioni cattoliche italiane. Proprio per assicurare alla prima e seconda generazione la facoltà della loro espressione religiosa. Fra 50 anni non ce ne sarà più alcuna o solo nelle grandi città dove ci sarà un continuo movimento di italiani. Se queste missioni vogliono svolgere un lavoro intelligente devono favorire l’integrazione. Dal punto di vista religioso vorrà dire consegnare alle diocesi alle quali già appartengono, comunità mature. Non c’è più motivo di chiamarle comunità italiane o tedesche o altro perchè abnon hanno più bisogno di mantenere questa loro identità, perchè sono perfettamente insierite nel loro mondo.
Adesso in Italia con gli immigrati stiamo facendo questo stesso lavoro. A Roma abbiamo una quarantina di etnie diverse che hanno una loro assistenza religiosa specifica, che durerà finché ce ne sarà bisogno. Questa integrazione, questo passaggio alla struttura ecclesiale e civile del posto deve essere una cosa spontanea e sarà progressiva. per alcuni non ha neanche senso: pensate a quelli che hanno un progetto migratorio temporaneo, che vengono per 4-5 anni; poi possono anche restare più a lungo, ma con la testa e il cuore vivono altrove e il loro progetto resta temporaneo. Che significato ha integrarsi nella società, nella chiesa italiana, imparare bene l’italiano specie se la mentalità e la loro lingua sono tanto diverse?
Un servizio che la chiesa italiana è impegnata a fare: far sì che i gruppi cattolici abbiano una loro assistenza religiosa, possano costruire comunità di fede e di culto, dove possano esplicare senza traumi la loro vita cristiana come quando erano nel loro paese. Tenendo presente quanto già detto sull’integrazione nella chiesa locale far sì che si sentano parte della diocesi, che abbiano rapporti con le parrocchie vicine ecc. Ci vuole l’una cosa e l’altra: è un problema di equilibrio. Anche qui a Firenze va sviluppandosi questo lavoro.
Don Sergio – Abbiamo un sacerdote che si dedica alla comunità filippina: hanno anche una chiesa – San Gaetano – dove viene celebrata la S.Messa. La comunità filippina è quella più organizzata. Sono cattolici, con un fortissimo senso di aggregazione, sono anche numerosi.
Mioli – A Roma solo i regolari sono 25.000, a Milano 14.000. A Milano alla Madonna del Carmine fa impressione vedere quale forma viva di partecipazione hanno. Alla chiesa zairese suonano i tamburi e fanno la processione offertoriale: per loro una messa di 3/4 d’ora non ha senso: il Signore merita qualcosa di più. Per gli etiopi è la stessa cosa. Le loro culture sono diverse: han fatto così per 10 secoli. Vanno rispettate le loro culture, poi è chiaro che i loro figli parlano la lingua del luogo dove abitano: l’integrazione anche dei genitori avviene attraverso i figli. In Inghilterra quando eravamo alla seconda generazione, negli anni ‘70 -’80, in casa i genitori continuavano con disinvoltura a parlare l’italiano o il calabrese e i figli rispondevano in inglese. La terza generazione è ormai integrata, parla l’inglese. Il vantaggio è che la chiesa inglese può contare anche sull’apporto di questi 300.000 italiani. I 200.000 giapponesi che dopo la guerra erano emigrati in Brasile a fare i contadini, dopo la seconda generazione e parte della terza, vogliono che i loro figli diventino come gli altri, che ricevano il battesimo ecc. Il fatto è che 200.000 di questi giapponesi negli ultimi anni sono tornati dal Brasile in Giappone (figli e nipoti dei primi emigranti) e sono quasi tutti cattolici. Il Giappone, che conta circa 300.000 cattolici se ne vede arrivare altri 200.000, frutto dell’emigrazione. Questo è per dire quanto l’emigrazione abbia anche questo risvolto missionario.
L’anno scorso in un convegno a Roma: “Migrazione areopago di evangelizzazione” la migrazione è stata vista anche come grande evento missionario.
Nelle isole filippine noi abbiamo un seminario. Questi preti assisteranno i filippini che vanno fuori del loro paese. Alcuni di questi sacerdoti sono già a Taiwan, a Singapore, dove stanno emigrando i filippini. Hanno difficoltà ad entrare in Giappone perché lì ci sono già più di 300.000 filippini.
(L’emigrazione potrebbe essere anche una dispersione, un vero naufragio della fede, però se vengono mantenuti i legami questo avviene più difficilmente). Comunque pensate al Giappone: 200.000 cattolici che vengono dal Brasile, 300.000 filippini: abbiamo mezzo milione di cattolici. In base a questo movimento migratorio questi diventano un contingente maggiore di quei cattolici che sono stati convertiti in Giappone. Rendiamoci conto di quanto c’è bisogno di sostenere queste piccole comunità anche dal punto di vista missionario.
Anche qui in Italia dobbiamo renderci conto che non si tratta solo di conservare la fede di questi immigrati ma l’emigrazione può divenire grande evento missionario anche in Italia. A Roma ci sono circa 250 adulti che stanno facendo il cammino di catecumenato e più della metà sono immigrati. La piccola chiesa coreana della Corea del Sud ha 120 cattolici però ogni anno ci sono dai 12 ai 15 battesimi di adulti. La chiesa cresce perché i coreani parlano con gli altri che sono lì a Roma della loro fede. Quale altra chiesa in Italia ha questa percentuale di battesimi degli adulti? A Milano quest’anno hanno avuto circa 80 battesimi di adulti, ma anche lì per più della metà si tratta di stranieri. Anche questo è un evento missionario. Ma non è l’unico aspetto. Penso alle nostre comunità locali, alle nostre parrocchie, quando al di dentro hanno tutti questi cinesi o i senegalesi, ecc. che non sono cristiani. Come si dice: la missione viene a noi. Non è una frase retorica, diventa una realtà. Quando il portare il Vangeli voleva dire anche geograficamente andare fuori della propria terra andavano pochi missionari e da qua si sostenevano con la preghiera, le offerte, le riviste, si creava un retroterra per questi missionari. Ora non si parla più di retroterra: la missione è piantata in mezzo a noi. Se uno sente l’ansia missionaria o vuole dare testimonianza di Cristo anche senza parlarne, le persone le ha alla porta di casa. E’ una grande novità dal punto di vista missionario.
Ricordiamo anche che non c’è soltanto l’annuncio diretto che ha valore di evangelizzazione, c’è anche la testimonianza della carità che ha una forte carica evangelizzatrice. Ricordo un padre, Donald Marino, responsabile della pastorale migratoria di Brooklyn, che ha un ministero e una attrezzatura per i problemi migratori, perché c’è un gran flusso soprattutto dall’Estremo Oriente. Lui disse una bella frase: non guardo se uno è confuciano, islamico ecc. perché la carità non guarda in faccia. Non vado incontro al lui con lo scopo di farlo diventare cristiano però ci tengo che lui si accorga che lo faccio perché sono cristiano, la mia motivazione è evangelica.
Questa è una grande testimonianza del Cristo. I mussulmani che si incontrano con gruppi impegnati fanno una esperienza diretta. Il mussulmano che ha trovato il calore della carità, l’interesse che diventa anche aiuto sul piano culturale, umano ecc., e l’ha ricevuto da questi che lui chiama cristiani, si fa una certa immagine di cristianesimo, quando tornerà al suo paese e porterà con sé questa immagine. Nella provvidenza di Dio le cose maturano con i secoli e chi dice che non stiamo creando attraverso l’immigrazione le premesse per un rapporto di tipo diverso anche col Magreb e con i mussulmani?
(Testo non rivisto dall’autore)