La partecipazione dei laici nella chiesa
Corso di formazione alla Mondialità e Missionarietà
31 marzo 2012
LA PARTECIPAZIONE DEI LAICI NELLA CHIESA:
UNA NUOVA MINISTERIALITA’
Valentino Bulgarelli
1. ALCUNE PREMESSE SINTETICHE PER UN RILANCIO…
– l’identità del laico si costruisce nella storia, in relazione alle richieste e provocazioni che la cultura offre all’essere credente.
– In secondo luogo, va detto che esiste una laicità del mondo e della storia che non possono essere accidentali alla questione dell’identità del laico. Anzi, la laicità del cristiano è al servizio di questa laicità della storia, un servizio critico e profetico che suggerisce al credente di inserirsi nei sistemi di significato con la sua prospettiva cristiana, come suggerisce la prospettiva globale di Gaudium et Spes.
– L’essere laico all’interno del servizio che la Chiesa offre alla storia dice una dimensione “sacramentale”, di segno particolare e paradossale che traduce la novità del Vangelo come determinante per la vita. Ciò è tanto più importante se lo si legge alla luce del quadro ecclesiologico della categoria di popolo-di-Dio, cioè di un popolo che trova la sua identità nell’evento di una chiamata alla sequela del Regno all’interno della storia. “Ed è il popolo di Dio che agisce nella storia come vero e proprio soggetto storico, un soggetto storico collettivo, composto da tutti i christifideles, portatore dell’unica missione, prima di qualsiasi distinzione di carismi e di compiti diversi”
E’ in questa novità storica, esistenziale, ma anche etica e teoretica, che la figura del laico acquista la sua fisionomia di testimone che attesta come la fede cristiana sia una risposta audace e completa agli interrogativi della vita “Pienamente partecipi della missione della Chiesa nel mondo, i laici sono chiamati ad attestare come la fede cristiana costituisca l’unica risposta completa agli interrogativi che la vita pone a ogni uomo e a ogni società, e possono innestare nel mondo i valori del regno di dio, promessa e garanzia di una speranza che non delude” (Giovanni Paolo II, Ecclesia in Europa, 41). Ciò sta ad indicare che l’essere laico all’interno dell’essere della Chiesa è connesso alla capacità di offrire risposte, per quanto possibile, significative alle domande della storia; o almeno di provocarle con uno stile di vita e di pensiero che contraddice l’ovvietà di soluzioni a buon mercato. E’ in questa linea che va percepita l’intenzionalità della riflessione teologico- pastorale sul laicato negli anni ’80-90, allorché individuava nella figura della sequela di Gesù Cristo il punto nodale dell’ecclesiologia del laicato (e non solo). Ne conseguiva una identificazione tra laico e cristiano motivata non solo dall’essere discepoli e testimoni della memoria di Gesù Cristo, ma anche dalla consapevolezza che la laicità è responsabile della sua ministerialità nei circuiti della storia.
– La dimensione della secolarità. A me sembra che essa sia semplicemente l’umano nella sua ricerca di senso e di felicità. Questo implica che il laico è colui che vive creativamente la novità evangelica nell’attenzione all’uomo e ai suoi bisogni. Ecco il motivo per cui l’esortazione apostolica Christifideles laici (cf. 36-40 ) legge uno stretto nesso tra l’identità del laico e i processi di evangelizzazione. “Annunciando il Vangelo […] i fedeli laici partecipano alla missione di servire la persona e la società” praticando “la carità, anima e sostegno della solidarietà”. Il servizio della persona e della società vuol dire essenzialmente promuovere la dignità della persona, rispettare l’inviolabile diritto alla vita, invocare liberamente il nome del Signore e richiede, inoltre, l’evangelizzazione della cultura e delle culture.
– Infine, va precisato che la categoria di laicità non è di sola pertinenza teologica, perché appartiene ad una più ampia e complessa storia delle idee che affonda le sue radici nella stagione della modernità e nella sua rivendicazione di autonomia rispetto alla configurazione religiosa del vivere e del pensare. Quali sono le indicazioni che la modernità ci ha offerto e suggerito? Senza entrare nei dettagli e tenendo presente la difficoltà di dispiegare tutto il volume di significato che essa rappresenta, si può affermare che la laicità invocata dalla modernità sia sintetizzabile nelle idee e valori di libertà e giustizia, di autonomia e di razionalità che costituiscono patrimonio comune del genere umano. In tal senso, la laicità del credente è al servizio di questa laicità più ampia, il cui ingrediente principale è una domanda di salvezza e di senso, presente proprio in quei processi di libertà, di giustizia sociale, fraternità e solidarietà necessari alla promozione dell’uomo, anche se sovente disattesi e piegati ad interessi diversi. Se assumiamo l’idea che le gioie e le speranze, le domande e i dubbi caratterizzano l’uomo nella sua ricerca, allora la vocazione e identità del laico cristiano consiste nell’essere compagni di viaggio di tale ricerca di senso, nella consapevolezza che la figura salvifica delineata dal Vangelo si inserisce nella domanda propria di ogni uomo, orientandola verso prospettive inusuali segnate dall’imprevedibilità dell’amore di Dio.
– Ce lo ricorda anche il documento della CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, quando al n. 35 citando la lettera A Diogneto, mostra come i cristiani sono uomini come gli altri, eppure capaci di modificare con la loro testimonianza e nuova identità, i processi storici, religiosi e culturali stratificati nella cultura del loro tempo.
2. IL NOI ECCLESIALE
– Ecco perché il soggetto portatore di questa inedita figura è la Chiesa, la comunità dei credenti nella sua complessità istituzionale e organizzativa. Essere chiamati a far parte del popolo che Dio ha convocato, è fare esperienza della originalità e diversità depositata nel Vangelo che inaugura e trasforma la realtà del quotidiano.
– la rivoluzione inaugurata dal Concilio Vaticano II sta nell’idea di comunione, nella condivisione del progetto di Dio che si esplicita in una ministerialità sinfonica. Il richiamo all’evento della comunione è decisivo non solo in rapporto alla qualità dell’esperienza intraecclesiale, ma anche in relazione alla storia per la quale la comunità credente vive e trova la sua motivazione. Si tratta, cioè, di testimoniare la figura di una umanità nuova, diversa, capace di tradurre la libertà dei figli di Dio e lo spirito delle Beatitudini.
– Ora, proprio la riflessione sull’identità del laico, mette in gioco la questione del rapporto Chiesa-mondo, per il fatto che, come testimonia il Nuovo Testamento, la coscienza della novità cristiana da parte della chiesa delle origini nasce e assume spessore nel processo di evangelizzazione.
– E’ nel momento in cui inizia ad incontrare altre realtà di senso diverse da sé che l’autoconsapevolezza del cristianesimo si traduce in una identità particolare. Non credo di dire nulla di nuovo quando affermo che la missionarietà è dimensione fondante l’essere-chiesa, perché l’incontro con l’altro, con la laicità del mondo, provoca la propria identità a configurarsi in forma di servizio e di ascolto dialogico. Scrive S. Dianich: “In ogni momento della sua esistenza storica la Chiesa sussiste in forza del suo atto missionario fondamentale: se in essa in un certo momento non si desse annuncio di Gesù, comunicazione di fede tra uomo e uomo, in quel momento la Chiesa cesserebbe di esistere come soggetto storico. Essa è, quindi, sempre determinata dai protagonisti di quella comunicazione della fede che con il suo stesso dinamismo ne garantisce l’esistenza. Soggetto annunciante e soggetto accogliente l’annuncio della fede sono i poli fra i quali scorre un fluido vitale che dà consistenza insieme alla missio e alla ecclesia” Il punto nodale è nel concetto di mondo (e di storia) che non è aggiuntivo ma essenziale alla missione della Chiesa, che legge e interpreta la sua vocazione storica nell’apertura all’altro da sé. La Chiesa è dentro il mondo perché con la sua specificità dà al mondo un senso, una risposta, una provocazione di senso e di verità. Se, per ipotesi, venisse meno questo ruolo e questa attenzione, la laicalità del mondo sarebbe più povera e frammentata. Pertanto, l’identità della comunità ecclesiale sta nell’essere figura di un mondo nuovo, di un modo diverso di vivere e lottare. La parola chiave dell’ecclesiologia conciliare e post- conciliare è “riconciliazione”.
– Questo, però, dice che anche il mondo ha una sua identità, differente da quella della Chiesa. C’è una differenza escatologica che verrà ricomposta solo nella storia della salvezza. Lo percepiamo costantemente. Spesso il mondo prende itinerari che sono diversi e, talora, indifferenti alla prospettiva cristiana. Non si tratta di una valutazione negativa, ma solo di una constatazione che ci ricorda semplicemente che il mondo è altro dalla Chiesa, alterità questa che deve essere vissuta non come ostilità ma come spazio per un incontro. In tal senso, l’esperienza comunionale dei credenti è chiamata ad una riproposizione del mistero sponsale della Chiesa, in cui la fede esprime la novità della convivialità delle differenze. La comunità, anche quella ecclesiale, pur nell’accoglienza delle debolezze e della marginalità, deve essere in grado di mostrare la passione dell’annuncio e della testimonianza critico-profetica del credente, che consente al mondo di poter riconoscer nella comunità cristiana una umanità nuova e nel Vangelo una proposta di vita attraente e ricca di significato. Ciò richiede che la comunità credente diventi segno di speranza, “comunità alternativa” nel coraggio profetico di andare controcorrente su questioni vitali, preoccupata di rifare il tessuto umano della società per riaprire alla relazione con Dio e consapevole del suo essere diaconale. Chiesa diaconale significa allora una Chiesa che difende la verità nel suo carattere liberatorio, dunque terapeutico e pastorale”. Soprattutto, nell’essere istanza critica contro l’individualismo e il narcisismo, per sollecitare una concezione relazionale della vita, un’attenzione all’altro, soprattutto se bisognoso, e un rispetto degli habitat naturali che sono necessari per la qualità stessa della vita. (cf. Ecclesia in Europa, 86-89; 95-105). E’ attraverso questa cultura dell’accoglienza e di un’antropologia della condivisione che la comunità cristiana diventa spazio di un’avventura inedita di umanizzazione. “La comunità cristiana è uno spazio nella storia e nella società, nel quale ciò che non ha ancora un posto (vale a dire l’”utopia” estranea al «mondo», l’assenza di luogo del regno dei cieli. Del regno di Dio) «trova posto». La comunità cristiana diviene così un luogo, un tópos della «prassi del cielo»”.
– La ricchezza ministeriale della comunità cristiana va intesa, di conseguenza, come una forma di diaconia propositiva, tesa alla costruzione di un futuro diverso. E’ significativo quanto scrive Gaudium et Spes al n 31: “Legittimamente si può pensare che il futuro dell’umanità sia posto nelle mani di coloro che saranno capaci di trasmettere alle generazioni future ragioni di vita e di speranza”. Da questa angolatura, si percepisce allora come la storia del mondo può essere anche conflittuale, estranea, se non talora indifferente, ai ritmi progettuali dell’annuncio cristiano. Questo non è affatto un problema. La preoccupazione del credente non è di catturare spazi di potere e privilegi, ma di essere segni di un amore e di una speranza che può trasformare il vissuto socio- culturale. Ecco il motivo per il quale la Chiesa, segno del Regno, si inserisce nella ricerca di salvezza che caratterizza ogni uomo. “Per la testimonianza, oggi più che mai si tratta di imparare e di esercitare la grammatica umana elementare: l’essere uomo e donna, l’essere con l’altro, l’amare e l’essere amato…E’ in questo spazio umano, umanissimo, che occorre trasmettere la buona notizia come proposta di vita; è in questo vissuto umano che l’evangelo può essere visto e colto come «l’esistenza umana buona», nel senso migliore del termine, l’opera d’arte che esso può realizzare”.
3. LE BUONE PRATICHE PER UNA NUOVA MINISTERIALITA’
I PERSONAGGI DELLA STRADA. – La strada ci rimanda alla quotidianità della vita. Nella strada possiamo incontrare chi è calpestato, o dimenticato, o almeno lasciato indietro. Quattro personaggi la percorrono.
1) Anzitutto c'è colui che è incappato nei briganti. È un uomo. Di questo Gesù non dice né la nazionalità, né il ceto sociale. Poteva essere un operaio, un anarchico, un terrorista, un delinquente, o solo un uomo investito da un'auto. Tutto questo non ha importanza. Un uomo incappò nei ladroni
2) Il quadro è subito fosco e mena sventura. Quest'uomo che si mette in cammino da solo e subito viene colpito, spogliato dei sui vestiti e dei suoi averi, ricoperto di bastonate e abbandonato mezzo morto sul ciglio della strada, è il simbolo di ognuno di noi? E' questa la sorte che la vita riserva a tutti gli uomini in un modo o in un altro, in un mondo come il nostro? Esagerato – può dire qualcuno. Vero, non è sempre così, ma è certo che un giorno o l'altro, senza alcuna eccezione per nessuno, ci capiterà di ritrovarci in mezzo a simili traversie: soli sulla via della vita e in balia dei ladroni.
3) I ladroni non sono un incontro casuale o un imprevisto marginale, ma fanno parte anch'essi delle regole di questa vita sbagliata. Questo tipo di vita che gli uomini hanno disegnato e impiantato sulla legge dell'egoismo e del tornaconto, questa vita fondata sulla ricerca del successo personale ad ogni costo, sui cui principi ispiratori gli uomini non hanno niente da ridire; questo tipo di vita, che, con tanta determinazione ha voluto la società degli uomini, proprio questa, porta nel suo seno e genera, per natura sua, un mucchio di ladroni. Gesù, pur avendo potuto collocare lo svolgimento della parabola in un ambiente meno pericoloso, di fatto, sceglie proprio questa strada, tra Gerusalemme e Gerico, a tutti nota per le sue insidie, perché essa si presta per fare da sfondo a un serio avvenimento: la vita è rischiosa e piena di agguati e ogni ingenuità nel viverla potrebbe essere fatale: "Ecco io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi" (10, 3); "Vigilate e pregate in ogni momento" (21, 36); "Vegliate e pregate per non cadere in tentazione" (22, 46); "Siate prudenti come serpenti e semplici come colombe" (Mt 10, 16). Certi mali sono inevitabili e bisogna prepararsi a combatterli.
4) "Per caso" passano per quella strada un sacerdote e un levita. "Per caso": è un particolare non inutile; indica un incontro fortuito, non preventivato quando il sacerdote, il levita passano, diretti a fare qualcosa. È un incontro che cambia le carte in tavole, lo scopo di quell'andare per la strada. Quel "per caso" chiama in causa i due personaggi, che diventano simbolo di due categorie importanti nella vita sociale e religiosa.
· Il sacerdote ricorda la dimensione religiosa. Il suo "passare oltre" fa divenire la religione inutile, fallita nella sua missione di essere a servizio di chi è nel bisogno.
· Il levita era il servitore del Tempio, addetto alla Casa di Dio; inoltre gestiva l'ordine nei confronti dei pellegrini che salivano al Tempio. Possiamo dire che aveva una funzione politica e sociale nel gestire l'ordine. Anche lui fallisce.
· Gesù denuncia il cinismo del prete e del politico, quando nel loro servizio non si fanno prossimi di coloro che sono nel bisogno. È penoso, oltre che pericoloso, quel "passare oltre".
SINTESI
· Il sacerdote e il levita sono convinti che quel "caso" non tocca a loro. Il "passare oltre" denuncia tre situazioni quanto mai attuali nella nostra vita:
· la fretta. Si ha sempre tanto da fare;
· la paura. Non ci si vuole compromettere;
· l'alibi. Riusciamo sempre a trovare giustificazioni e scuse per non intervenire.
1) «Lo vide…». Luca usa il verbo tipico di colui che vede l'uomo come immagine di Dio. Il samaritano assume il modo stesso di vedere di Gesù.
2) «…ne ebbe compassione». Il verbo non esprime semplicemente il sentimento che si può provare incontrando una persona che soffre. Il samaritano assume le stesse viscere di misericordia di Dio, quando per bocca del profeta Osea, dice: «Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione» (11,8).
3) «Gli si fece vicino…». Questo "com-patire" non lascia inerte, non lo blocca allibito di fronte alla gravità della situazione. Inizia la modalità del "farsi prossimo", che Gesù alla fine annunzierà al dottore della Legge.
4) «…gli fasciò le ferite». Con questo verbo il samaritano inizia il fecondo apostolato della compassione, che spontaneamente porta all'azione.
5) «…versandovi olio e vino». Usa, perciò, quello che era oggetto del suo guadagno per vivere; non lo vende, lo dona gratuitamente. Era di certo un mercante; di quello che aveva prodotto e venduto viveva la sua famiglia.
6) «…poi, lo caricò sulla sua cavalcatura…». A questo punto avrebbe potuto lasciare ad altri l'impegno. No, gli offre anche la sua cavalcatura; per caricarlo lo deve prendere sulle sue braccia. Condivide la sofferenza di quell'uomo.
7) «…lo portò in un albergo…». Lo vuol aiutare fino alla completa guarigione.
8) «…si prese cura di lui». Il verbo greco esprime profondo affetto. Gli sta accanto rimanendo con lui fino al giorno seguente. Erano le ferite interiori che occorreva sanare. La paura è una malattia ben peggiore di quella procurata dalle ferite corporali.
9) «Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all'albergatore». Vera-mente la compassione non ha limiti; ha solo il limite dell'amore! Ma sappiamo che la misura dell'amore è amare senza misura.
10) «Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno». Tutto poteva finire con i due denari! No, si intuisce la discussione avvenuta tra lui e l'alberga-tore. Due denari dovevano essere pochi per l'albergatore; voleva di più. L'egoismo traligna anche nelle opere di bene.
4. UNA RINNOVATA SINERGIA DI FINALITA’
4.1 costruzione di un’identità personale
“Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono. Perciò mi ricredo e ne provo pentimento” (Gb 42, 5-6).
– Quali obiettivi perseguire perché il laico possa servire alla costruzione dell’identità personale?
– approfondimento del senso dell'umano e del significato umano della Rivelazione cristiana. “Ciò comporta anche, operare uno spostamento di baricentro; non tanto percorsi che abbiano, come obiettivo ultimo, l'esperienza-conoscenza della fede, ma percorsi di crescita in umanità, che permettano di sperimentare la fede come risorsa di vera umanità. Potremmo anche dire, non tanto percorsi orientati all'incontro con Dio, ma percorsi che abilitino a percorrere, con Dio, i sentieri della vita”.[3]
– In secondo luogo, la questione decisiva non può riguardare la correlazione tra esperienze e fede, ma il senso e la dignità dell'esperienza.
4.2 La ricerca di Dio
Nella Lettera ai cercatori di Dio (CEI, 2009), la bibbia è proposta come via per aiutare il “cercatore” di Dio a giungere all’esperienza concreta del Dio vivente. Entrambi sono chiamati a porgere la bibbia come “lettera di Dio” che parla al cuore dell’uomo.
Ma perché questo orizzonte s’imponga è indispensabile operare un cambio di mentalità. La bibbia stessa ci insegna che la prima sfida è quella di riconoscere il senso più che cercarlo..
Il laico deve pertanto, registrarsi su un’antropologia biblica che è mossa dal segno della chiamata, del dono, della responsabilità e dell'essere amati. Queste categorie dicono più radicalmente il senso dell'umano illuminato dalla Rivelazione.
4.3 La partecipazione alla vita
– La Rivelazione in ogni pagina della bibbia si misura con la storia. Un Dio che si rivela nel divenire del tempo, nelle storie di uomini e donne, nella costruzione di comunità di uomini e donne. La bibbia ci parla di un Dio che partecipa alla vita, illuminandola, trasformandola e orientandola in una direzione nuova, svelando le strutture di peccato che in essa si annidano.
– Per il laico, Probabilmente significa operare non solo per percorsi formativi che abbiano, come obiettivo ultimo, l'esperienza-conoscenza della fede o del fatto cristiano, indubbiamente momenti importanti, ma far scorgere come in esso sia possibile rintracciare percorsi di crescita in umanità, che permettano di sperimentare la fede come risorsa di vera umanità anche per le strutture nelle quali l’uomo è chiamato a vivere la propria storia: società, famiglia, lavoro, scuola, sport, dolore.
Sintesi
Siamo sul versante di quella connotazione propria della secolarità del laico che ha come oggetto l’umano. un agire in favore dell’uomo nel suo bisogno, sapendo cogliere la domanda e l’invocazione dell’altro. E’ qui che si delinea l’identità ministeriale del laico credente nella sua secolarità, che sta nella capacità di inserirsi nelle vicende della storia con un progetto discreto ma in grado di diventare una provocazione a pensare, di porre domande e suscitare interrogativi. Nella solidarietà alla storia, la vocazione e la ministerialità del laico assume alcuni tratti importanti.
Innanzitutto, il laico cristiano, in virtù della sua secolarità, è chiamato a smontare una falsa religiosità, a criticare una errata concezione del credere, soprattutto se declinata secondo moduli sacrali e rituali. L’orizzonte della evangelizzazione abbraccia i dinamismi della promozione umana e della collaborazione all’umanizzazione del mondo.
Una seconda sottolineatura è la diaconia culturale. Il cristiano laico deve essere capace di provocare una cultura nuova, che liberi l’uomo da strutture che gli impediscono di assumersi responsabilmente la costruzione di un mondo nuovo. La fede cristiana produce una cultura qualitativamente altra, e non è riducibile a qualche esercizio di pietà. L’impegno in questo campo è decisivo, perché fino a che il Vangelo non permea il modo con cui l’uomo organizza la propria esistenza, imprimendole un significato qualitativamente altro, il progetto cristiano rimarrà bloccato sui meccanismi di osservanza di alcune regole.
Un terzo aspetto è ripensare ad una spiritualità del laicato intesa come spiritualità del/nel quotidiano. Ciò vuol dire che il significato dell’esser cristiano è quello di donare alla vita un senso nell’Amore che sa fare spazio all’altro. La vita chiama alla responsabilità per il fatto che ci è statadonata. E’ questo il motivo della santità e della santificazione del mondo, che traduce l’eccedenza e l’eccezionalità del Vangelo nel ritmo semplice e faticoso dei giorni.
[1] S. DIANICH, Laici e laicità della Chiesa, in ID..(ed.), Dossier sui laici, Queriniana, Brescia 1987, 136-137.
[2] S. DIANICH, Chiesa in missione. Per un’ecclesiologia dinamica, Paoline, Cinisello Balsamo 1985, 172-173. Si veda lo studio puntuale di S. MAZZOLINI, La Chiesa è essenzialmente missionaria, PUG, Roma 1999 e J.-A. BARREDA, Missionologia. Studio introduttivo, San Paolo, Cinisello Balsamo 2003, 195-231.
[3] S. CURRÒ, Catechesi, senso dell’umano e Parola di Dio. La prospettiva antropologica, in A. ROMANO (a cura di), Guidati dalla Parola nei luoghi della vita, pp. 171-185.