La pace è ancora possibile in Congo?
La pace è ancora possibile in Congo?
La Repubblica Democratica del Congo, nella sua parte orientale, è diventata dal 1994
ad oggi un teatro di violenze indescrivibili a causa delle sue ricchezze minerarie. Il popolo
congolese chiede e si chiede come il salmista: “da dove ci verrà il soccorso!” Alcuni di noi
hanno ascoltato la drammaticità di questa situazione, però non ci chiediamo neanche il
perché e fino a quando. Come si può calpestare la dignità di un popolo perché il suo
territorio è ricco? È possibile la pace, la giustizia nella zona dei grandi laghi africani,
considerata come una delle zone più instabili del pianeta? Questa situazione, per chi sa
leggere i segni dei tempi, persiste e gli abitanti vivono una guerra a bassa intensità. Oggi i
giovani guardano al futuro con incertezza e pessimismo. Dopo un ventennio di sofferenza
imposta a questo popolo, crediamo che un’uscita positiva da questa crisi sia possibile a
condizione che ognuno di noi apporti il suo mattone per la costruzione della pace e della
giustizia. Costruire la pace richiede una grande e profonda mobilitazione di tutte le forze
nazionali, regionali e internazionali. Questa pace deve essere un’opera di tutti, anche di
ognuno di noi. La pace è un bene per tutto il mondo e per tutti gli uomini; per questo la sua
consolidazione esige il contributo di tutti. Questo impegno rimane oggi la vera sfida del
mondo moderno, perché ognuno di noi si aspetta questa pace da coloro che usano le armi,
trasformando una missione di guerra in una missione di pace. Questa è la logica del mondo.
Il Signore Gesù invece chiama “beati” gli operatori di pace e coloro che hanno fame e sete di
giustizia. Cioè una pace che parte da noi, del nostro piccolo mondo quotidiano, dalle nostre
famiglie, comunità, ecc….
In Congo siamo arrivati ad un ennesimo accordo di pace. Però i protagonisti hanno
apparentemente come unico obiettivo di legittimarsi politicamente ed economicamente
tramite i loro kalashnikov. Per questa ricerca sfrenata della pace, il Congo ha accettato anche
la logica delle operazioni militari con l’aiuto dei paesi vicini e soprattutto con la grande
missione dell’ONU. Nonostante la presenza e l’impegno di tutti, per l’ipocrisia e gli interessi
di parte, venti anni dopo non si è riuscito a bloccare questa emorragia, che ha portato con se
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milioni di morti. Il grido delle ingiustizie in Congo arriva fino al cospetto di Dio. Siamo di
fronte ad un fenomeno che San Giovanni Paolo II chiamava “struttura del peccato”. Il
Congo, insieme ai suoi vicini, deve continuare a ricercare la pace e la giustizia come vera
soluzione al “virus” delle guerre economiche, imposte dalle multinazionali. Gli “avatar”
politici regionali e internazionali devono capire che i popoli della regione dei grandi laghi
hanno sete di pace e vogliono convivere come fratelli e sorelle. Questa pace non ha bisogno
di uomini forti ed egoisti, ma di istituzioni democratiche e stabili, e della ricerca del bene
comune. Secondo la saggezza di questi popoli, è proibito ad un genitore di lasciare in eredità
l’ira e l’avarizia ai suoi figli. Seguendo questo insegnamento, la pace è possibile. È possibile
costruire un mondo giusto senza ricorrere alle armi o alle ideologie etnocentriche. Il nostro
impegno quotidiano deve essere una lotta per la promozione della dignità umana, per
sradicare tutto ciò che avvilisce l’uomo congolese, e promuovere la giustizia e la pace. La
costruzione della pace richiede la riunificazione del cuore! Un cuore che non sia diviso tra
interessi di parte e la pace. A questo proposito desideriamo invitare i capi di Governo, le
autorità civili e religiose, e quanti sono impegnati nel campo dell'educazione, a essere
costruttori di un'autentica cultura di pace. Solo così riusciremo a bloccare il piano di
addomesticamento del popolo congolese.