Don Wieslaw Olfier
Testimonianza di don Wieslaw Olfier
Brasile
1998-2002
Conoscevo la missione fiorentina a Salvador Bahia dai tempi del seminario, quando nel 1987 fui inviato a Firenze, dal vescovo della diocesi di Lomza in Polonia, come studente del 1° anno di teologia per completare i miei studi e la preparazione al sacerdozio. Già allora il contatto con alcuni missionari, primo tra tutti don Renzo Rossi, ma in generale con la Chiesa di Firenze, con la sua storia e ricchezza culturale e spirituale, è stata la prima concreta esperienza della chiesa universale che successivamente, durante gli studi a Roma, è stata ulteriormente arricchita.
Così, quando nel 1997 (ero già prete da sei anni), durante la S. Messa del Giovedì Santo, l’allora arcivescovo di Firenze cardinale Silvano Piovanelli, fece appello al clero fiorentino chiedendo la disponibilità dei sacerdoti a partire per il Brasile come fidei donum, mi sono detto: perché no! Alla fine eravamo in cinque, e nel giorno in cui l’arcivescovo mi ha chiamato per annunciare la sua decisione mi ha comunicato anche che dovevo partire insieme con don Gregorio Sierzputowski, sacerdote della mia stessa diocesi polacca che per primo tra tutti aveva dato la sua disponibilità. Poter partire insieme con un amico era per me un grande dono di Dio, ma lo sentivo anche come un segno di attenzione e fiducia da parte dei superiori. E’ cominciato così il tempo di preparazione: il corso a Verona, lo studio della lingua, la lettura di alcuni libri, etc.
Mi ricordo ancora il giorno della partenza, era il 10 giugno 1998, i saluti commossi degli amici all’aeroporto di Firenze, il volo e arrivo a Salvador. Era inverno (brasiliano), ma il caldo umido, anticipando di poco un altro calore, quello umano, mi ha fatto comprendere che davvero stava per iniziare questa nuova esperienza.
All’uscita dell’aeroporto, una sorpresa. Tantissime persone della parrocchia insieme con il parroco padre José Carlos, don Alfonso, le suore, ci hanno accolti con vari striscioni, con canti e un’infinità di abbracci. All’inizio non ci credevo: siamo arrivati con quasi due ore di ritardo ma ad aspettarci c’era anche l’arcivescovo di Salvador Bahia, il cardinale Dom Lucas Moreira Neves, che personalmente voleva accoglierci nella sua diocesi. Gesto semplice ma significativo. Mi ha fatto capire ancora con più chiarezza che la missione non è un fatto personale o privato, ma ecclesiale. C’è una Chiesa che ti invia, ma c’è anche una Chiesa che ti accoglie e nella quale devi inserirti con rispetto per la sua storia e la sua differenza.
La parrocchia Nossa Senhora de Guadalupe alla quale siamo stati mandati, era guidata dai sacerdoti italiani, non solo fiorentini, fin dal 1965/66. Era una bella realtà. Anche se immensa (superava abbondantemente 100 mila persone), era ben strutturata ed organizzata, segno evidente di un buon servizio fatto da chi ci ha preceduti. Dieci comunità, che successivamente sono diventate dodici, con liturgie gioiose e con buona presenza di laici impegnati: catechisti, evangelizzatori, gruppi di preghiera e molti giovani. Quello che mi ha colpito dall’inizio era la freschezza delle comunità e la presenza di giovani e ragazzi, senza parlare dei bambini che sbucavano da tutte le parti. Ogni comunità aveva una sua caratteristica. In maniera speciale ne ho accompagnate tre:
– Baixa do Cacao, la più piccola ma forse anche la comunità più povera, capace però anche di grande solidarietà tra le persone. Penso qui a tanti malati che dovevano essere portati in braccio fino alla strada principale perché laggiù le macchine non potevano entrare e la salita aveva almeno 150 gradini; purtroppo era anche luogo di molta violenza e con grossi problemi di droga. La scuola parrocchiale era un punto di riferimento valido e posso dire che funzionava bene.
– Jaqueira do Carneiro, una comunità giovane e gioiosa. Celebrare là era sempre una grande festa, preparata con cura. Aveva un’attenzione particolare per la formazione dei giovani, per la liturgia e per la spiritualità mariana attraverso i vari gruppi della Legião de Maria.
– Bom Juà invece aveva una grande tradizione dei gruppi di evangelizzazione; attraverso gli incontri di preghiera nelle case e la lettura della Parola di Dio cercavano di avvicinare le persone lontane dalla comunità ed annunciare il Vangelo. C’era un grande desiderio di conoscere la Parola di Dio ma anche di impegnarsi concretamente per migliorare le condizioni di vita delle persone.
Ma tra tutte e tre, la necessità più grande era continuare con la formazione dei laici, capaci di testimoniare il Vangelo e assumere varie responsabilità nella parrocchia.
Una delle grosse difficoltà che mi ha accompagnato per tutto il periodo del mio servizio a Salvador Bahia era convivere con tanta povertà. Situazioni di vita disumane, mancanza di tutto, spesso proprio di tutto. Tanta ingiustizia, ricchezza e povertà che erano così vicine ma allo stesso tempo due realtà così lontane, due mondi separati. Ti viene subito la volontà di impegnarti per cambiare le cose, ti butti nella mischia con entusiasmo, vorresti vedere i frutti del tuo impegno ma spesso ti sembra di non poter fare niente, che i problemi siano più grandi di te e di rassegnarti. La fede però non ti permette di rassegnarti e ti aiuta a valorizzare di più le strade forse meno apparenti ma non per questo meno efficaci. Ho abbracciato con convinzione una di queste, percorsa nella parrocchia da molto tempo, una strada molto ordinaria: la scuola. Forse un po’ lenta, ma che guarda con speranza il futuro: aiutare i ragazzi a diventare protagonisti della storia del loro paese. Per un buon periodo sono stato responsabile delle 9 scuole di alfabetizzazione che facevano anche il servizio del dopo scuola. Le frequentavano circa 1.500 bambini e adolescenti ma anche un centinaio di persone che lavoravano come maestre, cuoche e personale di servizio. Fatica ma anche tanta soddisfazione.
Uno strumento efficace di promozione umana ma anche di evangelizzazione. In questo campo c’è stata una bella collaborazione con l’associazione fiorentina di adozione a distanza, Progetto Agata Smeralda. Con il suo contributo finanziario ma anche appoggio pedagogico e medico questo progetto è stato, e continua ancora adesso, ad essere un testimone della possibilità concreta di cambiare le cose. La struttura delle scuole, incentrate soprattutto sul lavoro con i bambini, non permetteva di accompagnare più di tanto i ragazzi che crescevano, molti di loro si allontanavano e spesso venivano trascinati nel mondo della droga e della violenza. Fatti di questo genere evidenziano con forza la necessità di cercare strade nuove per dare continuità al processo educativo. E’ stata per me una grande gioia ed insieme un’esperienza unica collaborare con don Gregorio alla realizzazione nella nostra parrocchia del Centro Sociale voluto fortemente dal cardinale Dom Gerardo Majella Agnelo e dedicato a Dom Lucas Moreira Neves. E’ stato personalmente Dom Lucas, venuto da Roma per le celebrazioni del 50° del suo sacerdozio a collocare e benedire la prima pietra. Anche in questo caso è stato determinante il contributo del Progetto Agata Smeralda che ha permesso, in poco tempo, la realizzazione di questo sogno. L’inaugurazione, realizzata il 6 agosto 2001, festa della Trasfigurazione, commentava da sé il significato di questa nuova struttura. Ancora oggi, centinaia di giovani frequentano ogni anno i corsi professionalizzanti, corsi di preparazione all’ingresso all’università, corsi di varie lingue straniere, dove possono esprimere la loro cultura attraverso il teatro e la danza.
Volendo racchiudere in poche righe la testimonianza di cinque anni di missione, potrebbe sembrare che la cosa più importante sia stata fare delle cose, realizzare dei progetti, costruire nuovi edifici. Per me invece è stato importante, al di là delle cose realizzate, poter condividere con gli altri l’esperienza di fede e la fatica del cammino quotidiano e partecipare alle piccole vittorie e anche alle sconfitte. La nostra casa, ma in generale tutta la parrocchia è stata un luogo di incontro con tante persone che volevano conoscere di più la realtà viva di Salvador Bahia, di fare un esperienza missionaria e forse impegnarsi un po’ di più al servizio dei poveri. Ho conosciuto tante persone, preti, suore e laici e con molti di loro, fino ad oggi, ho mantenuto un forte legame di amicizia. E’ stata un’esperienza molto bella ed intensa anche se le difficoltà di vario genere non sono mancate. Pensavo di voler dare tanto, ma quello che ho ricevuto è stato molto di più e oggi ricordo con gratitudine e “saudade” quel periodo della mia vita. Probabilmente anche per questo il ritorno in Italia non è stato facile e ci è voluto un po’ di tempo per riabituarmi al ritmo e al modo di vivere, ma ne è valsa la pena e spero di riuscire a comunicare, almeno in parte, l’esperienza di Salvador Bahia che attraverso la missione e il gemellaggio tra le chiese, da molto tempo fa parte della nostra realtà.