Don Riccardo Moretti
Testimonianza di don Riccardo Moretti
Brasile
1992 – 2001
Ho quasi settantaquattro anni e sono prete da più di quarantasei; fin da fanciullo faccio parte dell’Opera “Madonnina del Grappa”.
Don Alfredo Nesi, anch’egli prete dell’Opera “Madonnina del Grappa”, mi conosceva fin da ragazzo. Fui suo cooperatore per circa tredici anni a Livorno. Amico di don Renzo Rossi collaborò con lui, fin dall’inizio della missione in Brasile, pubblicando la corrispondenza e organizzando le collette di denaro. Questo rapporto con don Rossi sviluppò in don Nesi l’attenzione e l’interesse per il Brasile; finché lui stesso raggiunse don Rossi a Salvador Bahia, verso la metà degli anni ’80. In seguito, don Nesi, dopo una breve esperienza a Belèm, arrivò a Fortaleza, nella missione dove era presente la Congregazione di Brescia fondata dal Beato G. Piamarta. Nel 1991 l’allora Arcivescovo di Fortaleza, Card. Aloisio Lorscheider, affidò all’Opera una missione in periferia della città, nel Municipio di Caucaia. Don Nesi iniziò da solo la missione il 25 gennaio del 1992.
Io lo raggiunsi nel novembre dello stesso anno, dopo aver frequentato in Brasilia, per quasi quattro mesi, un corso per missionari esteri. Quel corso servì ottimamente ad apprendere la lingua portoghese-brasiliana, a conoscere la cultura di quel popolo, le ricchezze della Chiesa brasiliana, ad avere una visione veramente cattolica, attraverso il contatto con missionari provenienti dai cinque continenti.
Esattamente giunsi nella Missione dell’Opera il 24 novembre del 1992.
Il cardinale Lorscheider stava sperimentando in quella zona, chiamata Jurema, un insieme di comunità, chiamato “area pastorale”, più libero dello schema parrocchiale tradizionale, con maggiore coinvolgimento dei laici. Nella comunità dove l’Opera fu chiamata ad operare (chiamata Guadalajara), una piccola comunità di suore di una Congregazione locale, aveva già iniziato un lavoro pastorale da circa 10 anni. Don Nesi, in pochi mesi, aveva già portato avanti il suo progetto di evangelizzazione, dando impulso alla promozione umana di quel popolo, nel quale era grande l’analfabetismo e l’abbandono dei poteri pubblici. Perciò aveva iniziato una scuola di recupero dei bambini, dei giovani e anche degli adulti analfabeti. Inoltre istituì corsi professionalizzanti per sarti, meccanici e falegnami. Iniziò anche un ambulatorio medico.
Mentre don Nesi portava avanti il suo programma “sociale”, io mi affiancai alle suore e alle varie “pastorali” esistenti (degli infermi, dell’infanzia, del battesimo, della catechesi, etc.) cercando di conoscere e di sostenere questo lavoro già ben avviato.
Partecipai quasi sempre a tutti gli incontri con preti e con i laici a tutti i livelli: diocesano, zonale, di area pastorale. Ciò facilitò l’inserimento nella chiesa locale.
L’atteggiamento di ascolto, di sforzo di capire, di apprezzamento delle caratteristiche positive della gente (per esempio, la gioia di partecipare con il canto ed il movimento del corpo, alla liturgia) mi hanno facilitato l’adattamento alla cultura di quel popolo; tanto da lasciare in me tanta nostalgia e un certo rimpianto per averli dovuti lasciare.
Pur avendo impiegato la quasi totalità delle risorse provenienti dall’Italia, alla costruzione di scuole, strutture sanitarie, risanamento delle baracche, etc., ha nociuto notevolmente l’impressione che davamo di essere ricchi e la conseguente richiesta di aiuti da parte di persone singole o di gruppi familiari, con pericolo dell’assistenzialismo, in quanto tutto era dato gratuitamente e senza coinvolgere la gente.
Complessivamente il bilancio della mia permanenza a Fortaleza è stato molto positivo per l’arricchimento alla mia vita di prete, proveniente dal contatto quotidiano con un popolo profondamente religioso ed una Chiesa giovane che ha assimilato molto più di noi italiani la vitalità scaturita dal Vaticano II.