Don Marco Nesti
Testimonianza: Camerun 2002 – 2006
Il 22 gennaio 2002 salivo le scalette di un aereo dell’Air France all’aeroscalo di Peretola, destinazione Africa.
Quella decisione di partire per l’Africa era il frutto di un lungo cammino personale, fatto alla luce della Parola di Dio e del dialogo aperto con tanti fratelli nel sacerdozio e i superiori.
Dopo 15 anni di vita sacerdotale dedicata a Dio e alla Chiesa di Firenze ho sentito giunto per me il momento di “sciogliere le vele” in una risposta più aperta alla Chiesa universale. Questo “scendere negli inferi della storia”, come lo chiama Padre Alex Zanotelli, non era una fuga per un malessere personale o ecclesiale, ma era dettato dal fatto che sentivo che il nostro sacerdozio è per la chiesa mondiale, sentivo importante spostare il baricentro. Questo rispondeva allo spirito del Concilio Vaticano II e alla Enciclica “Fidei Donum” di Pio XII: “La cattolicità è una nota essenziale della Chiesa: a tal punto che un cristiano non è veramente affezionato e devoto alla Chiesa, se non è ugualmente attaccato e devoto alla sua universalità, desiderando che essa metta radici e fiorisca in tutti i luoghi della terra.” (Fidei Donum, 1957).
Questa spinta conciliare e il mio desiderio di vivere la dimensione del viaggio mi spinsero a salire la scaletta di quell’aereo. Un altro motivo che mi dette forza a fare quel passo è stata la presenza di don Sergio Merlini. Poter partire con lui mi ha dato tanta fiducia e mi ha fatto sentire vere le parole dell’Evangelista quando riporta il mandato missionario che Gesù consegna ai Dodici: “Allora chiamò i dodici e cominciò a mandarli a due a due” (Mc 6:7).
Dal 1° marzo 2002 ci spostammo nella Parrocchia di Ngomgham dedicata all’Immacolata Concezione di Maria. La parrocchia si estende nella periferia ovest di Bamenda, città a Nord Ovest del Cameroon, ex colonia inglese.La nostra presenza fu, fin dagli inizi, accolta con entusiasmo e spirito di aperta collaborazione da parte della gente, questo è stato molto importante per noi e ci ha dato entusiasmo nel lavoro pastorale.Un lavoro che ruotava sulla realizzazione di attività e iniziative focalizzate nel Piano Pastorale Diocesano. I punti di questo piano ruotano attorno ad alcune urgenze che la Diocesi indica come prioritarie.
La prima è la scuola. La parrocchia ha due scuole elementari con circa 1200 alunni e 25 insegnanti, il mio compito era quello di pensare alla amministrazione delle scuole e al collegamento tra l’Ufficio scolastico diocesano e le scuole stesse. Un secondo compito che portavo avanti con piacere, era il contatto con le varie classi e gli alunni. La scuola è vista anche come luogo di evangelizzazione. La didattica va a braccetto con la catechesi e la formazione morale degli alunni.
La seconda priorità è la guida della parrocchia con la formazione dei vari consigli pastorali ed economici. Una delle scelte primarie che abbiamo fatto è stata quella di formare ed espandere le piccole comunità di base (Small Christian Communities). È questa una esperienza che ha le sue radici nella concezione conciliare della Chiesa, che riconosce una grande importanza alle chiese locali e alle chiese particolari, dopo aver abbandonato una concezione centralistica e uniformistica della medesima.
Le comunità di base costituiscono il luogo primario dove si sperimenta e si vive la fede. In esse si ritrovano insieme uomini, donne e bambini per condividere fraternamente tra di loro il poco che posseggono e sostenersi insieme nella lotta quotidiana per la sopravvivenza. Esse costituiscono così un nuovo soggetto sociale, che riesce a farsi sentire all’interno della società e della chiesa, per rivendicare i propri diritti e far valere i propri interessi vitali. Spesso le comunità di base insieme alla Commissione di Giustizia e Pace hanno portato avanti battaglie contro certe decisioni dell’amministrazione comunale che andavano a scapito del quartiere.
I cristiani e le cristiane acquisiscono così una coscienza storica e costruiscono una chiesa dal “basso”. I responsabili di queste comunità sono laici, che chiamiamo leaders. L’ascolto comunitario della Parola di Dio, la sua interpretazione in un contesto sociale concreto e la sua attuazione hanno portato a scoprire il Vangelo come la parola della vita. Essa viene scoperta nella fede vissuta di comunità che si interessano realmente a “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini di oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono” (GS 1) e le condividono in modo solidale. Queste comunità di base sono diventate in Africa come in America Latina, le autentiche protagoniste dell’evangelizzazione; il loro interesse primario consiste nel collegare fra di loro la fede e la vita all’interno di una situazione concreta in maniera tale che il vangelo possa essere compreso e accolto come “parola della vita”.
La comunità di base è chiamata a leggere due libri, la Parola di Dio e i segni dei tempi nel loro preciso contesto. Per fare questo ogni comunità ha al suo interno dei “Ministeri” che impegnano tutti i suoi membri nel Ministero della Evangelizzazione, della Carità e della Consolazione.
I ministri della Evangelizzazione si preoccupano di visitare le varie famiglie nel territorio, queste visite sono fatte per rivolgere un continuo invito alla partecipazione alla vita della comunità e per realizzare insieme dei progetti di miglioramento del quartiere, come per esempio, la ristrutturazione della strada dopo il periodo delle piogge. Inoltre sono loro i responsabili della catechesi alla iniziazione cristiana, che nella prima parte del suo percorso si svolge nella comunità di base.
I ministri della Carità sono incaricati di segnalare i casi di povertà e di necessità per poi attuare delle strategie mirate ad un miglioramento. Infine i ministri della Consolazione che si fanno carico di organizzare la liturgia della parola all’interno delle veglie funebri che si svolgono nella casa del defunto. Questo momento è un occasione preziosa di annuncio della Resurrezione e di vicinanza alla famiglia del defunto, composta a volte da cristiani protestanti. La comunità si rende così prossima a tutti.
“I poveri irrompono nella storia”, scriveva il teologo G. Gutiérrez nel sottolineare un evento che irrompe dal basso, e questo modo di essere chiesa può diventare per noi uno stimolo a scoprire un nuovo modo di fare pastorale e rinunciare a quell’atteggiamento che K. Barth definiva “lo stupido orgoglio dell’ uomo bianco” e aprirci alla possibilità di acquisire nuove esperienze e nuove riflessioni potenzialmente utili per il nostro lavoro pastorale. Certamente non possiamo importare tutto, ma certe intuizioni potrebbero essere studiate per il nostro contesto attuale. Il progetto Cameroon, sottoscritto dai vescovi di Firenze e di Bamenda, prevedeva, oltre alla collaborazione pastorale, la realizzazione di due edifici, la canonica a Ngomgham e la chiesa di Alakuma.
Per tali progetti le due diocesi si impegnavano a fare la loro parte, impegno che è stato portato avanti generosamente da entrambe. Abbiamo visto con i nostri occhi quanto può fare “l’obolo della vedova” ( Mc 12:42).
La ricchezza che ho ricevuto copre le tante difficoltà che ho dovuto superare, difficoltà di adattamento climatico e alimentare, difficoltà di comprensione della lingua e della cultura, la febbre della nostalgia che ogni tanto prendeva il cuore. Ma di tutto ringrazio Dio che ha plasmato la mia vita di uomo e di prete e spero di poter ora essere testimone della chiesa africana che è a Bamenda e poter contribuire ad alimentare sempre più uno spirito missionario nella nostra chiesa fiorentina.
Sono eternamente grato al cardinale Piovanelli e al suo successore cardinale Antonelli per aver creduto e appoggiato con entusiasmo la presenza di due preti fiorentini nella diocesi di Bamenda. Una chiesa missionaria è oggi una chiesa che ha futuro, che può essere all’altezza delle sfide del nostro secolo e pronta ad accogliere un evento che va avanti dai tempi del Concilio Vaticano II, che è lo spostamento del baricentro della cristianità nell’emisfero meridionale del pianeta.