Don Gregorio Sierzputowski
Testimonianza di don Gregorio Sierzputowski
Brasile
1998 – 2003
Il fatto che la Chiesa si manifesti innanzitutto come una comunità reale e visibile, attenta ai problemi del proprio ambiente e allo stesso tempo sia una realtà incommensurabile, sfuggente ad una definizione espressa in termini sociali, culturali e politici, mi ha sempre affascinato. Che la Chiesa sia sempre più grande di ciò che si può percepire e comprendere, l’ho potuto sperimentare la prima volta quando, inviato dalla mia diocesi in Polonia, sono venuto a Firenze per continuare gli studi. Nonostante l’imperfetta conoscenza della lingua e la diversità culturale (venivo da un grande “laboratorio” a cielo aperto dell’ “homo sovieticus”), sono stato accolto in un ambiente che ho percepito immediatamente come familiare e che assumeva il volto di persone come Mons. Bassetti, i docenti dello Studio Teologico, gli amici del seminario. Questa esperienza determinante mi ha fatto riflettere che l’appartenere ad una comunità ecclesiale è una modalità attraverso cui si fa parte dell’unica Chiesa di Cristo.
La mia disponibilità di andare in missione si è concretizzata il Giovedì Santo del 1997. All’invito del Card. Lucas Moreira Neves di continuare la missione della diocesi di Firenze a Salvador, il Card Silvano Piovanelli ha risposto inviando due sacerdoti. Sono partito insieme a don Wiesiek Olfier, con la consapevolezza che andare in missione non è solo realizzare la propria disponibilità (che comunque è sempre presupposta), quanto piuttosto un dono che si riceve dalla Chiesa.
A Salvador ho trovato una Chiesa viva e carismatica con all’interno una precisa organizzazione finalizzata all’evangelizzazione e all’aiuto ai poveri. Ho capito che dietro questa presenza viva ed operante si celava l’immenso
lavoro dei sacerdoti fiorentini a cominciare da don Renzo Rossi e don Sergio Merlini. Ho cercato di inserirmi nel lavoro pastorale già impostato, intento ad accogliere soprattutto i più poveri, ma anche capace di uscire fuori dalle nostre piccole chiese; basti pensare alla missione popolare dell’anno del giubileo del 2000.
Grazie a un forte impegno della Diocesi di Firenze e del Progetto Agata Smeralda la nostra parrocchia ha potuto svolgere un articolato lavoro di promozione umana. Quel grande aiuto materiale, frutto della generosità di tante persone, spesso anonime, appariva paradossalmente come una goccia nel mare delle necessità.
Mi sono reso conto di quanto esigente fosse la dottrina sociale della Chiesa, che la nostra missione avrebbe dovuto mettere in pratica. Ancor più difficile soprattutto. in un contesto dove il comune senso di giustizia sociale si sente impotente contro la realtà e quindi attende di vedere nell’azione della Chiesa un segno concreto, per mantenere viva la speranza. Credo che proprio l’impegno nella promozione umana venisse colto dalle persone della parrocchia come un segno dell’autentica amicizia tra le Chiese. La vita delle comunità scandita dalle celebrazioni liturgiche, dalla catechesi, dall’evangelizzazione, veniva completata da quel servizio verso i più poveri senza il quale non avremmo potuto pretendere di essere credibili. I cinque anni della missione sono passati rapidamente. In quel tempo ho sperimentato il caloroso affetto di tante persone e l’amicizia che continua fino ad oggi. Al rientro a Firenze ho ringraziato il card. Ennio Antonelli per la possibilità di aver potuto fare questa bella esperienza di Chiesa e gli ho riconfermato la mia disponibilità a ripartire.