Don Piero Sabatini
Testimonianza di don Piero Sabatini
Brasile
1983 – 1988
Durante il mio recente viaggio in Brasile, in occasione dei venticinque anni dall’inizio della mia “avventura” di fidei donum – arrivai a Salvador-Bahia il 25 novembre del 1983 – , mi sono domandato che cosa ha rappresentato per la mia vita sacerdotale questa esperienza, per la quale non cesso mai di ringraziare il Signore.
Prima di tutto: come è nata in me la vocazione “missionaria”? Io credo che, prima ancora di rispondere ad una specifica chiamata ad andare in terre lontane, si debba essere aperti e disponibili a fare quanto lo Spirito ci suggerisce: è Lui che illumina il nostro cammino, servendosi degli strumenti che l’appartenenza alla Chiesa ci offre. E’ la Chiesa che ci invia, e il suo invio è garanzia di autenticità per ogni vocazione.
La mia “chiamata” penso sia iniziata il giorno del fugace incontro in Seminario, nel lontano ottobre del 1965, con un pretino che stava per partire per il Brasile: era don Renzo Rossi, decano dei fidei donum fiorentini e iniziatore del nostro servizio nella parrocchia di Nossa Senhora de Guadalupe a Salvador-Bahia; ero solo all’inizio del seminario e non avevo idea di cosa avrei fatto dopo l’ordinazione sacerdotale, ma inserii anche questa tra le eventualità.
Il secondo elemento è stata la formazione ricevuta in seminario, soprattutto per merito di Mons. Giuliano Agresti, allora nostro rettore, che ci ha educati ad amare la Chiesa e ad essere disposti a servirla sempre e dovunque.
Quando poi mi ritrovai a servire la Chiesa di Lucca come segretario del Arcivescovo Agresti, ebbi l’ultimo input della mia vocazione missionaria: una delle prime decisione del Vescovo fu quella di aprire una nuova presenza nel lontano stato dell’Acre, nell’Amazzonia brasiliana e, dopo un paio di anni, lo accompagnai in visita ai suoi sacerdoti in missione. Tornai da quella visita, che toccò anche Salvador dove allora operavano don Renzo Rossi, don Sergio Merlini e don Paolo Tonucci della diocesi di Fano, pensando che mi sarebbe piaciuto dedicare qualche anno della mia vita a servizio della Chiesa brasiliana, anche se questa scelta non poteva venire da me: dovevo aspettare la chiamata della mia Chiesa locale.
Finalmente, nell’agosto del 1982, l’Arcivescovo di Firenze, card. Benelli, visitava la missione fiorentina di Salvador lasciandola con la promessa di inviare un altro sacerdote (infatti don Paolo Tonucci era stato destinato ad altra parrocchia). Tornato a Firenze, mi fece la proposta ed io vidi finalmente realizzato quanto attendevo: era la Chiesa che chiamava ed io sarei stato il primo sacerdote fiorentino ad essere inviato come fidei donum. Va detto infatti che sia don Renzo che don Sergio partirono con il consenso del Vescovo di allora; ma quasi a titolo personale: i tempi non erano maturi e la Chiesa locale faceva fatica ad aprirsi in senso missionario-universale; l’espressione “cooperazione tra Chiese sorelle” aveva poco senso in quei tempi.
Del card. Benelli conservo il ricordo dolcissimo delle sue lacrime di gioia quando tornai a dirgli che ero disposto a partire: era esattamente una settimana prima che si presentasse il male violento che ce lo ha sottratto. Sono convinto che non mi è mai mancata da allora la sua assistenza dal cielo: il Padre celeste lo ricompensi per tutto il bene che ha fatto alla nostra Chiesa di Firenze.
Dopo il corso al Ceial di Verona, sono partito nel novembre del 1983 per un periodo di cinque anni, fino alla fine del 1988. Potrebbe sembrare un tempo troppo breve, ma così intenso che a distanza lo avverto come dilatato.
La scoperta che non esiste la “povertà” ma che vi sono mille sfaccettature e che persone povere materialmente possono esprimere enormi ricchezze umane e spirituali; l’incontro con una miseria che, al contrario, degrada la persona moralmente fino a perdere la propria dignità umana; l’incrociare meravigliose tradizioni popolari come il “mutirão” (lavoro comunitario tra vicini di casa) o la consuetudine della “criação” (quando una mamma muore i parenti e i vicini si accollano i suoi figli, senza un affidamento formale); la facilità con cui i cristiani di ogni comunità si danno da fare per collaborare alla crescita della comunità stessa, attraverso i vari gruppi di impegno e le comunità di base; infine la normalità di collaborazione tra i vari “agenti di pastorale”: sacerdoti, diaconi permanenti, religiose e laici impegnati.
Sono questi alcuni degli insegnamenti che ho ricevuto dall’esperienza brasiliana e che mi hanno sostenuto negli anni della Caritas fiorentina e nel mio servizio alla parrocchia di S. Martino a Strada.
So di ripetere un luogo comune ma credo che l’esperienza di cooperazione tra Chiese sorelle non dovrebbe essere considerata soltanto come una delle tante scelte possibili; al contrario, dovrebbe rientrare nel curriculum formativo del sacerdote, che non termina certo con il tempo del Seminario. Una Chiesa locale che non vive pienamente il respiro missionario è destinata inevitabilmente a inaridire e a parlare un linguaggio che non ha più niente da dire alla gente e soprattutto ai giovani. Dio faccia la grazia alla nostra amata Chiesa fiorentina di proseguire e incrementare l’esperienza dei fidei donum e, nel contempo, di accogliere come dono i sacerdoti esteri che vengono a condividere la nostra azione pastorale, così come i tanti stranieri cristiani che ci arricchiscono con la loro presenza e le loro tradizioni religiose.
E’ questa la globalizzazione che ci piace: quella dell’accoglienza e della condivisione, per sentirci ed essere veramente cattolici.
Don Piero Sabatini