Storia di Israele da Abramo ai giorni nostri – Parte 3
3. La Diaspora, aschenaziti e sefarditi, falsi Messia, chassidim e mitnagdim
(16 dicembre 2008)
Il Medioevo ebraico comprende molti secoli, tutti tristemente simili tra loro: secoli bui, pieni di disgrazie, e quindi si possono sorvolare molti dettagli e privilegiare una visione di insieme. E’ il mondo ebraico dell’esilio: dopo le rivolte contro Roma è vero e proprio esilio, non più diaspora; in Giudea adesso si torna solo fortunosamente e illegalmente. Nella logica ebraica, a ciascun esilio corrisponde prima o poi un ritorno (e viceversa, forse); l’esilio post-romano è caratterizzato dal fatto che la speranza del ritorno è accompagnata dalla convinzione che si tornerà con un Messia della casa di Davide (ricordiamo che quella del Messia è una figura vista come necessaria per qualsiasi occasione che richiede una liberazione. Da ora in poi gli ebrei sparsi per il mondo sanno che in Terra di Israele torneranno con il Messia). Ricordiamo anche che adesso l’ebraismo è completamente diverso dal passato: non c’è più il tempio ma ci sono le sinagoghe, non più i sacrifici ma la preghiera, e il sabato è un “tempio nel tempo”. E’ un ebraismo rabbinico, i cui primi protagonisti sono Ben Zacchai e Achiva.
L’ebraismo ha un solo dogma, l’unicità di Dio: tutto il resto è opinione, anche regola, ma non dogma; inoltre non ci sono gerarchie. A un certo punto della storia, tutto l’insieme di tradizioni tramandate per secoli oralmente, le leggi non trascritte nella Bibbia, vengono messe nero su bianco, per garantirne la sopravvivenza. La tradizione orale viene trascritta nel Talmud (= insegnamento). Ci sono due Talmud, quello Palestinese (meno conosciuto, scritto in Palestina in epoca ancora romana), e soprattutto quello Babilonese, il Talmud per eccellenza. Fu scritto tra il primo e il quinto sec. d. C. nell’impero dei Parti, dove c’era una delle comunità più antiche, colte e consolidate. Il Talmud babilonese è un’opera colossale, è composto da ben 33 volumi, e ha la caratteristica di avere al centro di ciascuna pagina (molto grande) il passo della Torah che si vuole commentare, mentre intorno ci sono i vari commenti (e nella parte più esterna i commenti dei commenti). E’ un insieme di discussioni anche molto discordanti tra di loro, a volte opposte. E’ una tradizione che non si è mai fermata: il Talmud babilonese (stampato per la prima volta in Italia intorno al 1520) è chiuso, ma la tradizione della discussione prosegue con ulteriori commentari. Nelle contraddizioni del dibattito c’è spazio per tutti: ci sono anche passi di persone che poi hanno perso la fede. Il Talmud è una macchina dialettica, rivelatrice dello spirito ebraico, uno spirito di continua discussione e capacità dialettica.
L’ebraismo dell’esilio ha alcune caratteristiche nuove rispetto a quello classico. Adesso, ad esempio, l’ebraicità è determinata dalla linea femminile della discendenza. Laddove sono presenti dieci ebrei adulti maschi (oltre 13 anni) è obbligatorio formare una comunità: la comunità non serve solo per la preghiera, ma anche per molte attività (soprattutto assistenza, in un mondo spesso ostile, e insegnamento). Un altro obbligo religioso è quello dello studio (questo rimane anche nell’ebraismo odierno). Nel mondo ebraico lo status sociale è determinato dalla conoscenza della legge, non dalla ricchezza: lo studioso a tempo pieno viene addirittura sovvenzionato dalla comunità, perché allo studio della Legge è riconosciuta un’importanza fondamentale. Nel Medioevo, nella maggior parte dell’Europa regna l’ignoranza (pochissimi sanno leggere e scrivere): tutti i maschi ebrei invece devono saper leggere, perché dopo i 13 anni è obbligatorio leggere pubblicamente la Scrittura durante il culto del sabato. Sapendo leggere e scrivere, gli ebrei sono un popolo molto colto rispetto a quelli con cui convivono; gli ebrei conoscono generalmente due o anche tre alfabeti (ebraico, latino e cirillico). Saper leggere comporta una capacità critica più elevata e rende indipendenti rispetto alle autorità religiose o civili, non si ha bisogno di mediatori. L’Europa cristiana supererà questo gap solo nell’800.
Cambiano poi alcune leggi interne: a partire dal II secolo a Babilonia, per sopravvivere, gli ebrei si obbligano a rispettare non solo le leggi proprie ma anche quelle dei luoghi in cui vivono, purché queste non li costringano all’idolatria. Si obbligano anche a combattere a favore del paese in cui si vive; infine si rinuncia al proselitismo.
Dal Mediterraneo, le comunità ebraiche si espandono sempre più verso l’Europa settentrionale e orientale, ma anche verso la penisola arabica. Nel VI secolo si incontrano con la predicazione di Maometto, che si aspettava un’accoglienza positiva da parte di un popolo monoteista. Invece gli ebrei naturalmente osteggiano l’Islam, non riconoscono Maometto come ulteriore profeta, e si assiste ad alcune guerre arabo-ebraiche. La presenza ebraica nel mondo arabo è comunque importante e positiva; fino alla conquista ottomana del XIV-XV secolo gli ebrei si sono trovati relativamente bene sotto la dominazione araba, soprattutto in Spagna, che rimane araba ufficialmente fino al 1492 (anche se gradualmente riconquistata dai cristiani lungo tutto il XV secolo) con l’ultima espulsione. Gli ultimi secoli sono più duri (con il crescere della pressione cristiana gli Arabi si incattiviscono a loro volta), ma dal VI al X secolo la Spagna è un luogo di incontro felice, sia culturale che politico, tra ebrei e arabi, accomunati dalla diffidenza verso i cristiani.
L’espansione ebraica nel nord dell’Europa è comunque relativamente limitata nella prima metà del Medioevo, il grosso delle comunità ebraiche rimane nell’area mediterranea, in Medio Oriente e soprattutto a Babilonia; poi verso la fine del Medioevo e lungo il Rinascimento il baricentro si sposta in Europa, per arrivare ai primi trent’anni del 900 in cui gli ebrei sono presenti soprattutto in Europa orientale, e in particolare in Polonia. A questo spostamento si accompagna quello dell’importanza delle strutture e istituzioni culturali: fino al VII-VIII secolo i migliori rabbini sono sempre a Babilonia, poi lentamente le accademie più accreditate si trovano in Europa. Nel ‘700 la nuova Gerusalemme è addirittura in Lituania, a Vilnius.
Gli ebrei del mondo arabo subiscono vari tracolli. Uno molto importante è rappresentato dall’espulsione dei Mori dalla Spagna operato con la Reconquista di Ferdinando e Isabella; un altro evento di rilievo è costituito dalle due invasioni del Califfato arabo da parte dei Mongoli, verso il 1200-1300, che fanno letteralmente terra bruciata degli attuali Iraq, Arabia e Palestina, travolgendo completamente gli Arabi. Poi arriveranno gli Ottomani, turchi convertiti all’Islam. Anche gli ebrei subiscono drastiche riduzioni con le conquiste mongole e ottomane dei territori arabi, e questo spiega la contemporanea crescita dell’importanza delle comunità europee.
E’ il momento di definire alcuni termini. Gli ebrei si distinguono in tre gruppi principali: aschenaziti, sefarditi, orientali. La divisione si ha a partire dall’uscita da Israele. Sefarditi sono gli ebrei che sono stati nella penisola iberica (da Sefarad = Spagna), e che poi da lì sono usciti alla fine del XV secolo spargendosi per tutta l’area mediterranea (e non solo). Aschenaziti sono gli ebrei dell’Europa centro-orientale (Germania, Polonia, etc.): Aschenaz significa regione del nord (in terra di Israele indicava la Siria); riferito all’Europa, Aschenaz si identifica con l’Europa continentale (gli ebrei italiani non sono ne Aschenaziti né Sefarditi). Gli Aschenaziti parlano Yiddish, una lingua che è una mescolanza di ebraico, antico tedesco, più termini mutuati dalla lingua del luogo (esiste uno Yiddish tedesco, uno polacco, etc.), e che si scrive con l’alfabeto ebraico. Ebrei orientali sono quelli che abitano in Arabia, Babilonia, Egitto, anche se talvolta vengono confusi con i Sefarditi (la cui lingua è il ladino).
Se è vero che il popolo ebraico, dopo le guerre contro Roma, non ha più una sua sovranità politica e territoriale, si conosce tuttavia il caso piuttosto particolare di un regno ebraico esistito nel periodo successivo alle guerre contro i romani. A nord del Caucaso, in Asia centrale, si ebbe infatti il regno dei Kazari, esistito tra il VII e il X secolo, costituito da un popolo di ceppo mongolo, ex pagano, che si converte all’ebraismo in massa, e che sopravvive per qualche secolo (nell’inconscio collettivo questo regno assume contorni mitici; su di esso si basa il romanzo di Arthur Kessler La tredicesima tribù).
A parte questa parentesi, il Medioevo nel quale gli ebrei si diffondono e crescono di numero è un Medioevo cristiano. I rapporti tra ebrei e Chiesa Cattolica sono molto complessi: da un lato la Chiesa li vuole convertire, dall’altro si ritiene giusto non convertirli tutti sulla base della dottrina del “popolo testimone”, affinché al ritorno del Messia (che per i cristiani deve appunto tornare, mentre per gli Ebrei deve ancora venire) ci siano ancora sulla terra degli Ebrei che possano riconoscerlo come tale e convertirsi in quel momento. Il grosso problema del mondo cristiano nei confronti degli ebrei è però di tipo giuridico. Tutta la società cristiana medievale, ad esempio, si fonda sul sistema del giuramento, che è alla base del sistema feudale stesso: vassalli, valvassori e valvassini diventano tali per giuramento. Gli ebrei non possono giurare, quindi sono al di fuori del sistema. Non posseggono terre, perché anche il possesso della terra nel feudalesimo è legato al meccanismo del giuramento. Essere fuori dal sistema presenta i suoi problemi ma anche dei vantaggi, soprattutto se guardiamo ai secoli VIII-X: in un mondo diviso tra Europa cristiana e mondo arabo, attraversato da crociate e guerre, gli ebrei sono i soli che possono muoversi, non solo fisicamente, dall’uno all’altro sistema (anche politico). Gli ebrei, sparsi un po’ dovunque, hanno un proprio sistema giuridico e un proprio sistema giudiziario transnazionali, che li legano in una vasta rete di relazioni da un capo all’altro del mondo. Insieme alla capacità di leggere, scrivere e far di conto, tutto questo permette agli ebrei di diventare “banchieri” e commercianti internazionali. Le cose cambieranno con l’avvento dei fiorentini e poi con la scoperta dell’America, ma fino ad allora solo gli ebrei hanno la possibilità, ad esempio, di acquistare sete in India, portarle in Siria, da lì imbarcarle per l’Europa, e infine venderle in Germania. E’ una specie di globalizzazione, che si regge sulla corrispondenza e sulle lettere di credito e di garanzia (scritte in ebraico) che si scambiano gli ebrei, che in caso di controversia si rivolgevano a un tribunale rabbinico. Tutto si reggeva sulla parola data, contando sull’autorità indiscussa dei tribunali rabbinici (questo sistema sopravvive, in qualche modo, nell’attuale mercato dei diamanti).
I grandi commerci internazionali del Medioevo vedono protagonista l’ebraismo; ciò consente agli ebrei di ritagliarsi spazi economici e di crescita.
Tornando ai rapporti tra mondo ebraico e cristianesimo, va detto che l’atteggiamento non amichevole dei cristiani verso gli ebrei non deve essere definito antisemitismo, bensì antigiudaismo: l’antigiudaismo non è razzista, perché si rivolge contro la fede ebraica e non contro il popolo (se un ebreo si converte cessano i sentimenti ostili contro di lui). La Chiesa è indubbiamente antigiudaica, soprattutto in un tempo in cui il potere religioso si fonde con quello temporale; ma curiosamente, un’area relativamente tranquilla per gli ebrei è quella della Roma pontificia, in cui l’antichissima comunità ebraica, che pure godeva di minori diritti rispetto alla cittadinanza cristiana, era considerata parte integrante del tessuto cittadino.
Nel corso della lunga serie di guai che attraversano la storia ebraica di questi secoli, si possono fissare degli spartiacque, che sono principalmente rappresentati dalle espulsioni. Espulsioni, persecuzioni e conversioni forzate tendono ad avere delle logiche. Ad esempio, la prima crociata, partita dalla Francia, fa i suoi primi morti in Francia stessa: prima ancora di raggiungere gli Arabi, i crociati uccidono moltissimi ebrei in casa propria. Ciò crea panico e fughe, e ha quindi inizio un importante movimento verso oriente e verso nord. Altro flagello del mondo cristiano sono le accuse di omicidio rituale: Nel 1144 in Inghilterra, nel 1475 in Italia, con l’episodio di san Simonino di Trento (il bambino che si disse fu ucciso dagli ebrei in sacrificio; poi dopo il Concilio Vaticano II questo santo è stato tolto dal calendario perché era un santo inventato). Si accusano gli ebrei di aver ucciso un bambino innocente, averne preso il sangue e averlo usato per fare il pane azzimo (accusa stupida e assurda, poiché tra le regole alimentari ebraiche c’è il divieto assoluto del sangue). Forse questa credenza ha i suoi lontani fondamenti nel sangue versato da Cristo a causa degli ebrei. Ci sono anche grossi problemi legati al dogma della transustanziazione: si accusano gli ebrei di travestirsi da cristiani, assumere l’ostia consacrata e quindi farne cose innominabili. Si fanno processi al Talmud e alla Torah, che vengono poi bruciati pubblicamente. Paradossalmente, in tutta questa situazione il luogo più tranquillo è lo Stato Pontificio.
Dalle crociate in poi gli ebrei in Europa hanno ulteriori problemi con le progressive restrizioni delle loro attività commerciali e bancarie. Si proibisce ad esempio il prestito a interesse (l’usura del tempo è comunque un tasso del 2-3%), finché i fiorentini e i lombardi non inventano le cambiali e i Monti di Pietà: lo spazio di azione degli ebrei sul versante del traffico del denaro si restringe enormemente. Inoltre, man mano che si creano corporazioni e gilde, perdono spazio anche in altre arti e mestieri.
Tra le varie dispersioni che si verificano in Europa, si può sottolineare quella che dalla Spagna si dirige in Olanda. Siamo intorno al 1600, e in Olanda gli ebrei partecipano alla Compagnia delle Indie Olandesi. L’Olanda conosce, dopo l’indipendenza dalla Spagna, uno sviluppo impressionante, e gli ebrei sono al loro fianco, ad esempio, al momento dell’acquisto di un pezzo di terra in quella che poi sarà New York (per ora Nuova Harem); i primi ebrei ad arrivare in America sono Sefarditi al seguito degli olandesi.
Una piccola parentesi va dedicata agli ebrei italiani, presenti sul territorio dal II secolo. In Italia col tempo arrivano sia dei Sefarditi che degli Aschenaziti (sono in parte Sefarditi gli ebrei di Livorno). I vari principati italiani li trattano piuttosto bene, peggio vanno le cose a Genova, mentre a Roma si complicano con Paolo IV, che crea il ghetto.
Un altro spartiacque si ha nel 1348-49, quando l’Europa viene colpita dalla peste nera. Morì circa metà della popolazione (ebrei compresi). Allora non si sapeva che la causa della peste erano le pulci dei topi: si credeva che la malattia dipendesse dai miasmi e che fosse diffusa dagli untori, e i sospetti principali si diressero verso gli ebrei, accusati di essere degli avvelenatori. Va detto che all’epoca gli ebrei stavano mediamente meglio degli altri: erano sicuramente più puliti, perché le loro regole di comportamento e alimentari erano anche dirette ad avere una vita più sana (lavarsi le mani prima dei pasti, bagno purificatore prima del sabato e delle feste, pulizie a fondo della casa una volta l’anno; cibi proibiti, come il maiale). Le donne ebree facevano meno figli delle cristiane, ma soprattutto i figli degli ebrei mediamente vivevano di più. Tutto questo comportò la convinzione che gli ebrei fossero diversi, addirittura degli stregoni, che facessero qualcosa di misterioso e pericoloso. In periodi di crisi, ciò portava a esplosioni di odio incontrollato.
Un’altra tappa importante si ha in Polonia. Qui gli ebrei arrivarono non solo attraverso le solite migrazioni da sud (fughe causate dalle persecuzioni), ma addirittura su invito: alcuni re polacchi, tra il XII e il XIV secolo, invitano gli ebrei a stabilirsi in Polonia. Nel tardo Medioevo la Polonia è un paese immenso e primitivo, semispopolato; i re polacchi sanno che a occidente c’è molta ricchezza, che questa è legata al commercio, e che il commercio è largamente in mano agli ebrei, per cui ritengono che chiamando questi ultimi sarà possibile portare ricchezza e progresso nel paese. Questa è una delle cause positive per cui gli ebrei cominciano a popolare la Polonia. Nell’arco di due o tre secoli gli ebrei polacchi passano da poche decine a centinaia di migliaia. Nel sistema polacco gli ebrei partecipano anche al sistema feudale, l’arenda (= affitto). Al vertice del sistema ci sono i feudatari, che vivono a corte e non si occupano dei propri possedimenti; in basso ci sono i contadini, russi e ucraini, generalmente cristiani (e quindi ostili agli ebrei); nel mezzo abbiamo gli ebrei, che portano avanti tutta la complessa macchina del feudo, in tutti i suoi meccanismi. Ciò crea tensioni enormi con la popolazione locale. I contadini odiano i feudatari polacchi e i loro “servi” ebrei; nel 1648 si ha una grande rivolta dei cosacchi ucraini contro i polacchi (rievocata in Taras Bulba); l’Ucraina letteralmente esplode, e dal punto di vista ebraico si tratta di una vera e propria catastrofe: un quarto degli ebrei di Polonia, circa 100.000 persone, vengono uccisi, molti espulsi; si hanno stupri e una quantità enorme di orfani. I rabbini addirittura sospendono per un generazione la legge contro i bastardi, perché sanno che se venisse applicata l’ebraismo dell’Europa orientale scomparirebbe.
Nel frattempo, in Occidente la Riforma Protestante porta a un riavvicinamento di tipo filologico alla Bibbia: Lutero aveva inizialmente ritenuto che questa operazione, che disincrostava la Scrittura dalla tradizione cattolica, sarebbe stata accolta positivamente dagli ebrei; ma naturalmente l’ebraismo non mostrò per il protestantesimo un atteggiamento diverso, e quindi dopo un iniziale avvicinamento i cristiani tedeschi ebbero verso gli ebrei una posizione ancora più dura di quella dei cattolici.
Un altro fenomeno da considerare è la composizione, nella Spagna del XIII secolo, della Zohar, un libro della Cabala (= sapienza ricevuta in via mistica e intuitiva). La Zohar, che circola in ambienti cabalistici, propugna una dottrina per cui in ciascuno è presente una scintilla che attende di riunirsi al fuoco del creatore, quindi è portatrice di speranza e di attesa di rinascita; questo sentimento si combina con la grandissima paura provocata dagli eventi di Polonia, e tra i suoi effetti ha quello di provocare il sorgere di una serie di falsi messia (tutti nefasti). Si distinguono in due categorie: quelli spregevoli (la maggioranza), di cui non ci occupiamo, e quelli, in realtà ancora più pericolosi, “rispettabili”. Il più famoso (e rovinoso) di questi fu Shabbatai Zvi, un sefardita di Smirne. Siamo nel 1665, nell’impero ottomano; è un quarantenne colto e rispettabile, che inizia a predicare come tanti altri rabbini. Sulla sua strada incontra un giovane rabbino aschenazita, Natan di Gaza, con cui forma una coppia che per molti aspetti ricorda quella di Bar-Kochba e Achiva (anche Natan è una persona per bene). Natan scrive a tutte le comunità ebraiche conosciute proclamando Shabbatai il messia: quando questo messaggio giunse in Europa orientale, che si stava appena riprendendo dalle persecuzioni, il mondo ebraico si spaccò letteralmente in due campi opposti con infinite diatribe (chi lo riconosceva e chi no). Nel frattempo Shabbatai continua la sua predicazione in Anatolia, e a un certo punto accade l’imprevisto: per motivi di ordine pubblico il sultano lo fa arrestare, confinandolo nella fortezza di Gallipoli, e quindi lo fa processare. Posto di fronte alla scelta se convertirsi all’Islam o essere giustiziato, Shabbatai sceglie la conversione: questa notizia, non appena raggiunse il resto del mondo ebraico, provocò una disperazione assoluta. Uno studioso ha detto al riguardo che lo shock della conversione di Shabbatai fu superiore a quello degli Apostoli quando il loro maestro fu crocifisso (è meglio un messia sconfitto che traditore)
La stessa spaccatura provocata da Shabbatai si ebbe in Polonia, a metà Settecento, intorno alla figura di Baal Shem Tov (= il maestro del buon nome: a indicare che è un uomo che conosce il nome di Dio). E’ un guaritore e un predicatore, non particolarmente istruito; conosce la Cabala, ed è il maggiore esponente del misticismo ebraico, finora tenuto sempre a bada dai rabbini, e ora reso accessibile alle masse (fino a quel momento la Cabala poteva essere studiata solo da uomini maturi). Baal Shem Tov rende alcuni concetti della Cabala immediatamente disponibili all’uomo medio. Con lui emerge la figura dello Tzaddiq (= giusto), finora assente nel mondo ebraico, che dopo il sacerdozio aveva conosciuto solo il rabbinato. Quello del Giusto è un concetto centrale dell’ebraismo (una leggenda dice che esistono 36 giusti, grazie ai quali Dio si astiene dal distruggere il mondo peccatore; i giusti sono ignoti a se stessi). Da Baal Shem Tov nasce un movimento molto importante e tuttora vivo e diffuso, quello dei Chassidim (da Chassid = Dio). La formazione di questo movimento va contro all’ebraismo rabbinico tradizionale: lo tzaddiq è una figura meno razionale e più mistica (parla con Dio); si creano le corti chassidiche (parallele ai tribunali rabbinici); i Chassidim fanno largo ricorso all’emozione, al canto, (e perfino al vino), introducendo una vena gioiosa nel culto (gioia di cui c’è un grande bisogno nella situazione disastrata dell’Europa orientale; e infatti l’area dove l’ebraismo chassidico si diffonde di più è proprio la Polonia). Si introduce però un forte elemento di divisione interna; in alcune comunità lo tzaddiq ha maggiore autorità del rabbino. Inoltre tende a governare la propria comunità non solo in materia religiosa ma in tutti gli aspetti della vita quotidiana (lo si vede molto bene oggi in Israele). Il rabbinato tradizionale in gran parte si oppone a questo movimento, e si formano i Mitnagdim (= oppositori), il cui centro è in Lituania. La Polonia è divisa in due, con il blocco rabbinico a nord e i Chassidim a sud-est. I Mitnagdim costituiscono il filone centrale dell’ebraismo (i Chassidim sono una minoranza). I Chassidim introducono un livello molto alto di devozionalismo e osservanza religiosa. A metà Settecento (un periodo in cui, peraltro, la Polonia sta andando in pezzi, spartita tra le grandi potenze confinanti) i contrasti sono talmente forti che scoppiano piccole guerre locali, con scomuniche reciproche. L’odio intestino è un pericolo enorme, perché divide profondamente il mondo ebraico; l’ostilità tra le due comunità porterà addirittura gli uni a denunciare gli altri alle successive autorità russe.
Verso la fine del Settecento si colloca la conclusione del lungo Medioevo ebraico. A fine Settecento e inizi Ottocento gli ebrei hanno ormai raggiunto tutti i luoghi del mondo, dall’America all’India, dalla Cina all’Australia e al Sudafrica. La “testa” rimane in Europa nord-orientale, ma le comunità, piccole o grandi, sono ormai ovunque.
(testo non rivisto dall’autore)