Gli indios Guaranì
Corso di formazione alla Mondialità e Missionarietà
4 aprile 2009
CERCANDO L’ANIMA DI UN POPOLO NELLE SUE PAROLE:
GLI INDIOS GUARANI’ DEL CHACO BOLIVIANO
Ivano Nasini
In Italia quelli che sanno qualcosa della lingua guarnì sono veramente pochi, ed io sono l’italiano che sa più guarnì di tutti! E’ molto stimolante il ciclo di incontri che avete organizzato e la sua linea conduttrice: la parola. Nella parola racchiudiamo tutta la nostra storia, quello che siamo, quello che pensiamo, quello che sappiamo fare, quindi interpretare le parole vuol dire anche riscoprire tutta l’umanità. E la parola è lo strumento privilegiato degli antropologi quando lo possono usare. Questo tema mi piace molto e lo approccerò da un punto di vista cristiano. Io sono cristiano nel senso che mi piace esserlo e cercare di esserlo, il che vuol dire che le cose che dirò, i temi e le parole che sceglierò e gli argomenti, a volte polemici, che susciterò vanno interpretati in questa ottica cristiana, dentro il dibattito grande della missione che, purtroppo, in certi ambiti è andato molto avanti ma in generale nella Chiesa anche italiana non è recepito.
La Chiesa cristiana è nata plurilingue e nel miracolo di Pentecoste, secondo Luca, c’erano a Gerusalemme in quel giorno abitanti di tutti i paesi conosciuti a quell’epoca. Venne lo Spirito Santo e San Pietro fece un discorso che tutti capivano nella loro lingua. Luca non dice che tutti capivano l’arameo che parlava Pietro e che continuava a parlare ma dice che gli altri lo capivano ciascuno nella propria lingua. Questo miracolo è molto importante perché dobbiamo collegarlo con quello di Babele. La torre di Babele come espressione della superbia umana, la tecnologia umana per arrivare fino al cielo (sentirsi dei, sentirsi dio). Ecco in quella superbia estrema c’è la confusione delle lingue, non ci si capisce più, quindi nella Babele la diversità delle lingue provoca confusione, caos e guerra. Mentre nello Spirito la diversità delle lingue crea l’armonia. Questo è importante capirlo. Dunque la Chiesa è nata plurilingue e questo fa parte della sua essenza. Gesù dice ai suoi discepoli che tra i segni che li accompagneranno quando andranno ad annunziare la Buona Novella ci sarà quello che “parleranno nuove lingue”. Nuove lingue come un segno della missione della autenticità cristiana, perché? Perché significa uscire da sé stessi e incontrare l’altro senza pretendere che diventi come noi. Questo è un primo punto molto importante perché è alla base di tutto l’atteggiamento cristiano. Allora se io imparo una lingua, se mi avvicino all’altro che parla un’altra lingua io devo riconoscere in quest’altra lingua la stessa categoria, la stessa nobiltà che ha la mia lingua. Non esiste una lingua bella e una brutta, quella ufficiale e il dialetto, quella prestigiosa e quella per i pezzenti. Le lingue sono l’espressione di un popolo e quindi sono tutte nobili, sono tutte della stessa categoria e non sono tanto d’accordo nel dire che c’è una lingua povera e una ricca, certo la lingua è un organismo vivo come è vivo il popolo che la parla quindi una lingua può anche morire, ammalarsi. Per esempio se aprite un giornale italiano e se non sapete l’inglese non lo capite soprattutto per quanto riguarda certi settori. Questa è una relazione sbagliata di contatto tra le lingue. Nella Chiesa questo non è stato spesso l’atteggiamento usato verso gli altri, la Chiesa ha voluto molto spesso che tutti parlassero latino, invece a Pentecoste non si è parlato una lingua sola ma molte lingue . Don Milani pose alla base della sua scuola questa frase: “ridare la parola ai poveri”; quando una persona smette di parlare o non capisce la lingua che si parla perde capacità. Quindi l’intuizione di Don Milani fu ridare a tutte le persone, in questo caso ai contadini, l’uso della parola completa; questo è un messaggio cristiano.
I frati sono missionari almeno dal ‘500 ma lo sono stati anche prima nel Nord Africa e in Asia. Un antropologo svedese diceva che i frati (lui li conobbe in Bolivia nei primi anni del ‘900) possono vantarsi di due cose: di aver difeso la terra degli indigeni attraverso le missioni, e di aver mantenuto la lingua. Tutti i vocabolari di lingue indigene scritti fino ad oggi sono opera di missionari. Bisogna anche dire che non è stato sempre così, una biblioteca degli Aztechi fu bruciata da un frate francescano vescovo il quale disse una cosa simile a quella detta dal Califfo che bruciò la biblioteca di Alessandria e cioè “se qui questi libri parlano del Corano, abbiamo già il Corano e quindi sono inutili, se dicono qualcosa contro il Corano allora sono pericolosi quindi in tutti i casi vanno bruciati”. Quindi la Chiesa ha tenuto questi due atteggiamenti e anche ora ce li ha.
Entrare adesso nel tema significa per me essere fedele al compito assegnatomi e cioè far vedere brevemente come nella lingua guaranì si rispecchia l’anima di questo popolo e come l’anima di questo popolo, di questa cultura, può essere per noi una sfida, un aiuto. Questo perché tutte le volte che ci avviciniamo a un’altra persona diversa da noi se riusciamo a entrarvi in dialogo quello che ci arricchisce è proprio la sua diversità. Se trovo uno uguale a me non imparo niente, non mi da’ stimoli e non cresco, mentre la relazione diventa bella quando trovo la persona diversa da me, che sa cose che io non so e pensa cose diverse, quindi questa vicinanza è per una pro-vocazione cioè una chiamata ad andare oltre, a crescere. Se ci mettiamo allora in questa ottica tutte le culture del mondo sono pro-vocazioni cioè, per noi, una chiamata a crescere.
In guaranì ci sono le vocali come in italiano più una (una u nasale), sono sei (normali o nasali che sono indicate con la dieresi).
Parola = ñe (si pronuncia gne, nasale)
ñ = riflessivo mi,ti,ci
ё = uscire io esco = a ё
lui esce = o ё
quindi parlare = uscirsi; io quando parlo mi esco, mi tiro fuori. Il parlare è come spalancare sé stesso buttar fuori quello che tu sei.
Quando questo “ñe ё” è al superlativo si aggiunge la parola “ete”:
ñe ё ete = parolissima cioè la verità = esco e dico la verità. E’ un concetto molto profondo
Il guaranì è fatto tutto di pezzettini, di radicali, e sono parole molto piene di senso.
mbo = faccio fare (partitivo)
a ñe mbo ё = io mi faccio fare uscire = imparo (io mi faccio dire)
Imparare vuol dire uscire da sé stessi e andare dall’altro.
a mbo ё = io faccio fare uscire = insegno. Riuscite a imparare solo se vi fate uscire.
Insegnare vuol dire essere capace di far uscire l’altro, io ti devo provocare a uscire.
ara = tempo
i = suo
i ara = il suo tempo
tutte le cose, tutti gli animali, tutte le stagioni, le piante, le persone hanno il proprio tempo.
Il tempo del raccolto, il tempo della pioggia, il tempo del tasso, il tempo del mais, il tempo della scuola, ecc. Per esempio: quando è nato tuo figlio? Era il tempo del salmone.
Quando questo linguaggio entra ed è recepito provoca un mondo di colori, di sapori, di caldo, di freddo, di sensazioni.
Kuaa = sapere
ara kuaa = sapienza = sapere il tempo. Conoscere il tempo per sapere vivere (conoscere le stagioni ecc., sapienza anche concreta).
Vae = colui che (pronome relativo)
ara kuaa vae = colui che sa, il saggio
mb = negazione
ara kuaa mbae = stolto
In ogni villaggio ci sono i saggi che in genere sono vecchi, ma anche giovani sui trent’anni:
ara kuaa iya = il padrone del sapere
Questo è importante anche nella pastorale perché quando si fanno le riunioni ara kuaa iya deve parlare, e di solito parlano per ultimi, dopo aver ascoltato, per dare soluzioni. Quando noi facevamo le Messe con i guaranì e c’era qualche ara kuaa iya al momento del Vangelo io gli dicevo di parlare ed erano molto profondi.
ara ete = tempissimo (tempo + superlativo) = festa. E’ un concetto straordinario. La festa è tempissimo perché nella festa la persona abbandona le preoccupazioni, si ritrova con gli altri. Nella festa c’è da mangiare, da bere, e tutti sono ben disposti. Gesù quando parla dell’altro mondo e ci vuole descrivere il Paradiso parla di festa di nozze.
C’è un segno che è come una “i” tagliata e col puntino (sulla tastiera non esiste) e lo indichiamo così (col segno +):
Ci sono due concetti molto belli:
+v+ = terra
mara = male
ё+ = senza
+v+ mara ё+ = la terra senza male. Questo è un concetto molto importante per i guaranì perché è il loro mito principale. E vuol dire l’aspirazione del nostro popolo. Noi, come guaranì dobbiamo costruire e cercare la terra senza male e cioè la terra dove c’è l’acqua, vegetazione, non è freddo, dove c’è caccia, pesca. E vuol dire anche una terra dove non c’è guerra, non ci sono malattie. Nella nostra cultura è l’Eden. Per loro però è qualcosa proprio che bisogna cercare e spesso sono emigrati con questa idea anche a causa della colonizzazione. Per noi cristiani questo concetto non è altro che il Regno di Dio.
Questo popolo è cosciente che un ambiente può degradarsi, risultare sia dal punto di vista umano che ecologico inadeguato e bisogna cercarne un altro, costruirne un altro, proprio come missione che ognuno ha.
Un altro concetto è:
+v+ iya = ogni cosa sulla terra ha un padrone. Ogni specie di albero, animale,ecc. ha il suo padrone. Non si può entrare nel bosco senza chiedere il permesso a iya. Si saluta e si fa la preghiera a l’iya del bosco e poi si entra nel bosco, dicendo cosa si va a fare. Se la persona va a caccia pregherà l’iya dell’animale che caccerà e dovrà aver sognato la notte prima quell’iya. L’iya può anche uccidere si comporta male.
Gli europei che si sentono padroni di tutto dovrebbero attingere da questa saggezza. Non siamo padroni di nulla e San Francesco lo aveva capito chiamando le altre creature fratelli e sorelle.
p+a = viscere = centro dei sentimenti; in italiano antico si usava dire viscere al posto di cuore (ti amo con tutte le mie viscere, amore viscerale). Ci sono più di 100 composti con questa parola, è molto espressiva per descrivere i sentimenti. Il p+a può essere alto, largo, basso, trasparente, nero, ecc., questo come descrizione. Poi ci sono i verbi che descrivono cosa fa il p+a, cioè i sentimenti, e tutto questo genera espressioni colorate.
ene = scarabeo
pire = pelle, in questo caso le elitre dello scarabeo verde brillante (ali)
ene pire = scarabeo pelle. Tutti sanno che la pelle dello scarabeo ha questo bagliore.
Ou = viene, venne
ene pire ou = paura o stupore. Qualcuno è arrivato con gli occhi brillanti come le ali di uno scarabeo.
ña = noi
ñu = ci
mo = far fare
metei = uno
ña ñu mo metei = noi ci facciamo uno = organizzarsi
Per noi organizzarsi ha un significato un po’ diverso, guardando come è la nostra vita sociale noi non decidiamo niente pur essendo in democrazia. Per il guaranì organizzarsi vuol dire dobbiamo diventare uno, quindi dobbiamo metterci d’accordo, riunirci, parlare più volte, far venire un saggio, per capire e fare. E’ un concetto estremamente ricco questo.
La più bella parola è questa:
a = io
mbo = faccio fare
or+ = allegria
a mbo or+ = io faccio fare allegria, io faccio diventare allegro = aiutare
Vieni aiutami = vieni fammi felice
Vieni ad aiutarmi = vieni a farmi felice
Vuoi che ti aiuti? = vuoi che ti faccia felice?
Fare le cose insieme, aiutarsi è la vera felicità.
La mia tesi è che come cristiani, come persone, incontrare l’altro è sempre una grazia, proprio perché l’altro è altro, diverso da noi, ha qualcosa da insegnare.
Abbiamo visto come questo popolo ha una visione della vita, a volte, molto diversa dalla nostra, però ugualmente bella e spesso più bella della nostra e quindi l’incontro con questo popolo è realmente una grazia.
Interventi
Domanda: Quanto la scrittura può aiutare la salvaguardia di una lingua (molte lingue africane non sono scritte e proprio per questo stanno morendo, alcune sopravvivono perché è stata tradotta una parte della Bibbia)? Qual è l’impatto della modernità su questi popoli e sulla loro lingua?
Risposta: Il fatto che una lingua si possa scrivere per loro è un segno di prestigio anche nei confronti dell’uomo bianco, del conquistatore che si odia ma a cui si guarda anche con ammirazione. Questi popoli sono rimasti tanti anni senza saper scrivere ancora oggi il tasso di analfabetismo tra le donne è altissimo (80% non sa scrivere) anche se sta rapidamente cambiando. E’ senz’altro positivo scrivere le lingue perché è un crescere e acquistare prestigio. Lo scriverla permette di farla circolare e conoscere e imparare molto più facilemente.
L’impatto della civiltà della globalizzazione è veramente devastante. Quando, presto, arriverà la televisione finirà tutto. La nostra civiltà contadina è stata distrutta dalla televisione in venti anni.
Domanda: Quali sono le aree di origine e di insediamento dei Guaranì? Qual è la parola per dire Dio?
Risposta: La parola per dire Dio c’è ma è una costruzione cristiana. La loro concezione di Dio è molto complessa.
Le famiglie guaranì è un ceppo che era esteso in quasi la metà dell’America Latina (Brasile, Uruguay, Paraguay, Nord Argentina, Sud-Est Bolivia). In tutta questa zona ci sono tante parole di origine guaranì, così come i nomi dei fiumi e delle montagne. Per molti secoli è stata una lingua franca (che tutti sapevano più o meno). A parte la zona immediatamente sottostante alle Ande (i grandi altipiani) è abitata dai discendenti degli inca, il resto è abitato dai guaranì.
Iguazù (acqua grande) è una parola guaranì, così come Paranà (parente del mare).
Domanda: In riferimento al film Mission quali errori storici ci sono nel film? E quale è stato il ruolo dei gesuiti nella protezione o meno del popolo guaranì?
Risposta: Il film termina con un disfatta e invece non è vero perché i guaranì si sono difesi con i gesuiti da questi attacchi dei bandeirantes e nel 1641/43, avendo ottenuto il permesso di usare le armi, durante la battaglia uccisero tutti i bandeirantes che da quella volta non tornarono più. Il re quindi ogni volta chiedeva aiuto ai gesuiti che mandavano l’esercito. Grazie a questo hanno potuto mantenere i confini altrimenti i brasiliani avrebbero conquistato tutto. La vera disfatta dei guaranì, delle missioni, fu la ritirata dei gesuiti a seguito della decisione del Papa di sopprimere l’ordine (1767). A quel punto i guaranì si sono trovati a dipendere dal re. Non è vero che i guaranì tornarono nella foresta perché sapevano fare cose che nessun altro sapeva fare in America Latina, per esempio costruivano 40 tipi di strumenti e li vendevano in tutta l’America Latina. C’erano intagliatori, scultori, pittori, lavoravano il cuoio, i gioielli, fondevano le campane. Trovarono quindi subito lavoro. La missione più grande dei gesuiti aveva 13.000 abitanti, nella stessa epoca Buenos Aires capitale con il vicerè ne aveva 7.000. I guaranì erano molto ricercati per quello che sapevano fare, tra cui scrivere, fare i conti (l’amministratore di tutte le missioni era un guaranì, per tutte le 18 missioni nell’inventario c’era più di un milione di vacche).
Quando i gesuiti sono stati riaccettati dalla Chiesa sono tornati in America Latina, infatti l’antropologo maggior conoscitore del guaranì è un gesuita catalano. I gesuiti hanno grandi meriti sia in passato che adesso.
Domanda: In Paraguay si dice che la lingua ufficiale è il guaranì. E’ vero?
Risposta: E’ un guaranì un po’ diverso, però se un guaranì boliviano va in Paraguay capisce tutto. Però in Paraguay ci sono pochi guaranì perché sono stati uccisi tutti. In Uruguay (nome guaranì) non ce ne sono.
I guaranì hanno opposto una resistenza molto forte, ci hanno messo 300 anni a sottometterli e per questo parecchi sono morti.
Domanda: Oggi la maggior parte della popolazione di cosa si occupa?
Risposta: Quando vanno in città, cosa che fanno molto spesso, i guaranì occupano i settori marginali (baraccopoli) e fanno di tutto, autisti, caricatori, scaricatori, falegnami, imbianchini, muratori. Cominciano ad aumentare i professori, i maestri, gli infermieri, i tecnici. Le donne sono tutte collaboratrici domestiche e cuoche.
Domanda: Esiste una tradizione orale o scritta?
Risposta: La mitologia è di carattere religioso e i guaranì ne sono molto gelosi e se sono sopravvissuti fino ad oggi è perché hanno mantenuto segreta la loro religione. Di fatti il missionario quando ha successo è il più terribile dei conquistatori perché ti toglie la tua anima. Il dialogo tra le religioni non vuol dire la perdita delle religioni. Quando nel Vangelo la donna con la bambina malata si rivolge a Gesù insistentemente dicendo che anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola ecc, Gesù dice che non ha mai visto tanta fede come in questa donna (cioè in quella religione di quella donna). Sotto la croce c’erano le donne e Giovanni , però quando Gesù muore il primo che riconosce che è il Figlio di Dio è un pagano, il centurione che lo dice a partire dalla sua religione. Quindi il fatto che devi lasciare la tua religione per diventare cristiano a me non mi va bene. Non so se mi esprimo bene ma secondo me ogni religione è come una storia d’amore tra un popolo e Dio, in tutte le religioni c’è questa storia d’amore.
Dobbiamo avere più rispetto ed essere più fratelli e c’è bisogno di questo perché la nostra società sta diventando sempre di più multietnica.
Il buon vivere dei guaranì (teko kat=vivere in abbondanza), si deve intendere come avere amici, non litigare, vivere in allegria, armonia con la natura. E ciò è possibile dove la terra è senza male.
Domanda: Come mai nel tempo hanno perso tutto quello che sapevano fare al tempo dei gesuiti?
Risposta: Le invasioni possono veramente distruggere. Però i guaranì sono persone tutt’oggi molto sveglie e intelligenti e imparano subito. Le donne non uscivano quasi mai dalle comunità molto isolate e quindi sono loro ad aver mantenuto la cultura e la lingua. Ma questa situazione sta cambiando molto velocemente, soprattutto cambierà quando arriverà l’elettricità e la televisione.
La scuola di lingua è servita a dare un po’ di respiro ad un contesto sociale non ancora ammalato, cioè fino a che le comunità contadine restano isolate autonome allora la scuola funziona.
I fenomeni di incontro scontro tra popoli e culture sono sempre esistiti e fino a che facciamo noi da padroni va tutto bene ma ora che vengono loro perché hanno fame, non hanno lavoro ecc. allora si arriccia il naso. Nessun popolo è andato tanto a giro come gli italiani. Colui che arriva è un fratello che ha qualcosa da dare Come cristiani abbiamo qualcosa da dire in merito. Il confronto e il dialogo mantiene l’identità e la migliora.
Domanda: Esistono la parola umiltà e presunzione nel linguaggio guaranì?
Risposta: La parola umiltà non c’è, per dire umile dicono “piccolo”. Quando noi traduciamo la Bibbia e diciamo “Gesù si è fatto uomo” in guaranì si dice “si è noialtrizzato”, è diventato noi, uno di noi e per dire “si è abbassato” si dice “si è fatto piccolo”. La superbia si può dire in vari modi, il più fotografico è “farsi grande”.
Ci sono delle parole che non esistono nella lingua guranì: come prestare, comprare e vendere (le hanno inventate successivamente), io ti do quello che ho e tu mi dai quello che puoi.
(Testo non rivisto dall’autore)