I laici missionari – Formazione, invio, partenza, rientro
I LAICI MISSIONARI
formazione – Invio – Partenza – Rientro
Tratto da
Commissione Missionaria Regionale Lombarda – I laici missionari ad gentes nella cooperazione tra le Chiese – 2002
1. introduzione
“Dire che è venuta l’ora del laicato non costituisce uno slogan di moda,
ma risponde a una realtà già in atto e a un’urgenza sempre più pressante.
Ciò è particolarmente vero in riferimento alla missione evangelizzatrice,
alla collaborazione e solidarietà tra il popoli”.[1]
1. Sembra ora giunto il momento di dare un nuovo impulso all’impegno missionario, aprendo anche ai Laici la possibilità di contribuire direttamente all’azione evangelizzatrice. Si è infatti convinti che l’apporto di Laici ben formati potrebbe essere determinante per l’annuncio del Vangelo in determinati settori, a fianco dei Sacerdoti e dei Religiosi. Lo Spirito Santo sollecita perciò le nostre Chiese a curare la formazione di Laici capaci di coniugare la promozione umana con l’evangelizzazione e l’azione pastorale secondo modalità e in ambienti più confacenti alla condizione dei Laici cristiani.
2. “La fede si rafforza donandola!”(RM 2) Il dono della fede ricevuto e offerto nell’incontro con altre Chiese e con altre culture permette di capire meglio noi stessi e sollecita in non pochi casi la revisione del nostro modo di vivere e di essere Chiesa. Le Chiese latino-americane, quelle africane e quelle asiatiche, ci insegnano che è necessario fare spazio ai laici cristiani non solo nel campo dell’amministrazione, ma anche in quello dell’annuncio, dell’informazione e della formazione.
3. Per questo, nel tentativo di attuare una nuova evangelizzazione, c’è bisogno di un nuovo spirito e di un nuovo dinamismo pastorale, che passi dalla conservazione alla missione e che faccia spazio al dare e ricevere, partire e ritornare, inviare ed accogliere. Hanno bisogno cioè di recuperare, nei preti, nei consacrati e nei laici, l’originario spirito missionario, che dai vicini tende ai lontani, fino agli estremi confini della terra, attuando una scelta preferenziale per i più poveri.
4. L’apertura dei laici alla missione ad gentes è un dono che lo Spirito vuol fare oggi alla nostra Chiesa. Sono sempre più numerosi, infatti, i laici che, conseguita una buona preparazione, desiderano attuare una scelta concreta di evangelizzazione ad gentes e di promozione umana e chiedono di essere inviati ad annunciare Gesù Cristo e servire i più deboli, con uno stile di vita sobrio ed essenziale, staccandosi dal proprio mondo per entrare in una cultura diversa e lì porsi al servizio del Vangelo.
5. L’ottica di partenza è quella del “dono”: l’orizzonte generale è invece quello dello “scambio”, riconoscimento della ricchezza della comunità che accoglie e del bisogno di crescita della comunità che invia; nell’esodo è insita infatti anche l’idea del ritorno per arricchire la Chiesa da cui si è partiti, attraverso la testimonianza e il rinnovato coinvolgimento nella vita delle nostre comunità.
“Andrò anch’io, come i profeti, i missionari, i martiri, lontano dalla mia terra,
a cercare fratelli e sorelle con i quali farmi prossimo.
Camminerò per le strade del mondo e andrò anche là dove non ci sono strade.
Andrò per incontrare il mio fratello e la mia sorella
nelle savane, nel silenzio del deserto, nella città e nelle sue periferie,
in ogni luogo dove uomini e donne nascondono le loro ferite
e soffocano il proprio gemito di affamati e di assetati.
Non avrò timore se, per chinarmi sui feriti, gli emarginati, gli ultimi della terra,
verrò anch’io emarginato e ferito.
E diventerò con loro braccia, cuore e voce di un Dio che chiama tutti per nome e ama perdutamente”.[2]
2. Vocazione e identità del laico missionario
1. Vocazione. Quella del laico per la missione è una vera vocazione di persona chiamata a partecipare alla missione universale della Chiesa. Con la gioia del dono gratuito di se stesso, egli avvicina l’altro e cammina con lui sulla strada del Regno. Per questo i cristiani devono unire all’annuncio del Vangelo e al culto liturgico un grande impegno sociale, diventando spesso, soprattutto nel sud del mondo, baluardo ed unico sostegno per i poveri e gli oppressi.
2. Battesimo. Il laico missionario ad gentes sente esplicitamente e fortemente la responsabilità per l’evangelizzazione, e la sente come diritto/dovere che gli viene dall’essere battezzato e dunque associato alla missione di Gesù stesso. A lui è richiesta una testimonianza cristiana che già di per sé è evangelizzazione, oltre ad una grande capacità di ascolto e dialogo, in una logica di reciprocità, di scambio, di servizio umile e attento di quel popolo, e di quella Chiesa, cui è mandato. Vive dunque l’inserimento nella comunità cristiana di invio e di missione come cosa necessaria, non solo alla sua vita cristiana, ma anche alla sua opera di evangelizzatore. Egli desidera donarsi e condividere la propria esperienza di fede con altre culture, altre mentalità, altre storie, ed è disposto anche a fare da “apripista” in quelle zone ove è possibile solo una presenza missionaria di tipo laicale, come per esempio in molte regioni del continente asiatico.
3. Fede e quotidianità. Sebbene noi occidentali ci sentiamo spesso poco portati a coniugare obiettivi socio-economici con obiettivi religiosi, finendo in quel distacco tra fede religiosa e vita quotidiana che “va annoverato tra i più gravi errori del nostro tempo” (GS 43), le popolazioni del sud del mondo ci insegnano invece la necessità di coniugare la fede con le problematiche quotidiane del vivere. Se questo implica in modo particolare di non separare l’evangelizzazione dalla promozione umana, sollecita pertanto anche programmi di sviluppo umano che non siano sprovvisti di spirito e intento religioso. Infatti la progettualità senza spiritualità è giustamente considerata da questa gente del sud del mondo poco attendibile e non affidabile.
4. Missione e volontariato. Questi popoli ci dicono quindi che il volontariato “tecnico” non può essere distinto dal volontariato “missionario” e che la stessa Parola di Dio annunciata è credibile solo se apre ad una dinamica di liberazione integrale. È questa la modalità con la quale hanno operato ed operano molti volontari delle ONG cristiane, anch’essi espressione di una Chiesa che invia ed a servizio di una Chiesa che accoglie. Al volontariato internazionale di ispirazione cristiana verrà richiesto di operare all’interno di un progetto di promozione umana, concordato con la diocesi che accoglie, vivendo nel contempo una testimonianza evangelica di carità e condivisione, mentre al laico missionario ad gentes verrà richiesto di mettersi a servizio della diocesi locale nei settori pastorali esplicitamente indicati dalla diocesi stessa, senza per questo distogliere lo sguardo dalle necessità impellenti in ordine allo sviluppo umano.
5. Consapevolezza. Si tratta di coppie o singoli che hanno maturato una coscienza missionaria dopo aver vissuto un’esperienza di impegno significativo nella propria parrocchia, in diocesi o in un organismo ecclesiale, attraverso comportamenti consapevoli ed equilibrati nella vita quotidiana e nell’appartenenza responsabile alla Chiesa. Inoltre il laico missionario ad gentes possiede una solida formazione cristiana, acquisita attraverso studi o corsi di formazione, eventualmente da completare con opportuni corsi sui temi specifici della missione ad gentes.
Domande:
a) Quale spirito ecclesiale e quale vissuto deve legare il laico saveriano alla chiesa locale?
3. l’invio del laico missionario
1. Requisiti. Prima di accettare la richiesta di partenza di un laico missionario, è sempre bene comunque verificare la dimensione ecclesiale della sua scelta ad gentes e la sua partecipazione attiva alla vita della comunità cristiana di appartenenza. In particolare si richiede un normale equilibrio psicologico e un sereno adattamento nel proprio ambiente e nel proprio lavoro, una buona capacità di relazione sia nella vita familiare che comunitaria ed almeno una precedente esperienza di volontariato, presso istituzioni caritative (di assistenza a malati, anziani, portatori di handicap, tossicodipendenti ecc.) e/o di impegno pastorale, che abbia verificato la disponibilità al servizio.
2. La partenza di un laico missionario non avviene per caso: essa è il frutto della relazione fra due Chiese, dell’incontro fra bisogni e disponibilità reciproche. L’analisi della situazione della comunità cristiana di accoglienza e la proposta di invio di laici missionari sono dunque il primo fondamentale tassello per la costruzione di un progetto di partenza. Attraverso il dialogo sarà possibile costruire un progetto di cooperazione fra Chiese.
3. Durata. Normalmente si prevede che il servizio del laico missionario presso la Chiesa di accoglienza sia della durata di tre anni.
4. Mandato. Il laico missionario, terminato il periodo di formazione e riconosciuto idoneo a svolgere il suo compito, riceve il crocifisso e il mandato missionario dal Vescovo della diocesi di invio. Anche la parrocchia e il vicariato, zona o decanato di appartenenza partecipano all’invio del laico missionario con iniziative volte a sensibilizzare la comunità al dono che il Signore ha fatto loro.
5. Comunità. Si sottolinea la positiva esperienza dell’invio di comunità missionarie, composte da sacerdoti, consacrati e laici, che con la loro presenza multiforme sappiano esprimere in modo organico la Chiesa di origine.
6. In sintesi, i passi fondamentali da compiere per la costruzione di un progetto di invio di laici missionari dovrebbero essere:
· le motivazioni che animano la disponibilità alla partenza dei laici missionari;
· la richiesta di invio dei laici missionari da parte della Chiesa di accoglienza con la descrizione del progetto pastorale;
· l’identificazione degli obiettivi che si intendono perseguire attraverso l’invio e la presenza dei laici missionari e – se possibile – anche i risultati concreti che ci si aspetta di raggiungere;
· la ricerca dei contenuti specifici del progetto, le responsabilità e le mansioni degli attori in gioco, i tempi di realizzazione, vissuti con l’apertura allo Spirito che guida la storia e le vicende umane;
· le risorse necessarie per la realizzazione del progetto;
· le verifiche periodiche, prevedendo sin dall’inizio tempi e modalità di valutazione del cammino in itinere;
· la verifica a conclusione dell’esperienza;
· la ricaduta in termini di animazione e arricchimento per la chiesa e la comunità di invio.
Evidentemente, tutti gli elementi che consentano il realizzarsi di occasioni di scambio, devono essere considerati parte essenziale del progetto.
Domande:
a) Quale è la prima realtà di invio del laico saveriano (diocesi, parrocchia, gruppo, associazione, movimento, laicato saveriano, ecc.)?
b) Quali soggetti avere come primi interlocutori per un progetto di invio di laici missionari (la Chiesa locale, istituti missionari, associazioni della società civile, il singolo missionario, ecc.)?
c) Quali i tempi dello stare in missione?
d) L’invio di laici missionari è preferibile in forma di piccola comunità o di singoli?
e) Può essere utile la figura di uno psicologo per aiutare a capire la solidità e l’equilibrio dei partenti?
4. Il servizio del laico missionario
1. Pastorale. Il laico missionario non opera da solo: si inserisce in una comunità cristiana in terra di missione, nella sua storia, nei suoi progetti e nelle sue attività, mettendosi al suo servizio, privilegiando il rapporto di comunione e confronto con i laici. Non decide da solo “cosa fare”: si inserisce in équipe e aderisce, consapevole delle sue capacità e dei suoi limiti, ad un progetto preparato dalla Chiesa che accoglie, assumendosi precise responsabilità in rapporto autonomo e paritario con gli altri soggetti della missione.
2. Promozione. L’attività missionaria si esprime nelle due attività dell’evangelizzazione e della promozione umana, non separabili l’una dall’altra. La promozione umana va sempre realizzata con la gente, quando è pronta, dopo il periodo iniziale dell’amicizia, della conoscenza reciproca, della coscientizzazione. Occorre sempre operare con i loro mezzi; con l’apporto di tutti, partendo il più possibile da ciò che la gente ha a disposizione, integrando, solo se strettamente necessario, con un aiuto discreto e solidale; con i loro ritmi, che non siano i nostri, stimolando e rispettando nello stesso tempo; con amore, umiltà e rispetto, per arrivare a una trasmissione reciproca di competenze e di valori, per una crescita comune e globale.
3. Stile. Il laico missionario, evidenziando una esperienza di fede adulta:
· privilegia non le cose da fare, ma le relazioni di amicizia, di ascolto e di dialogo. Sa che questo richiede tempi lunghi di condivisione forte con la vita delle persone alle quali si è inviati, una buona conoscenza della lingua locale, la capacità di ricevere e donare reciproche ricchezze;
· annuncia esplicitamente Cristo e collabora nelle attività pastorali per la crescita della comunità cristiana cui è inviato, partecipando concretamente al progetto specifico che la Chiesa locale attua;
· opera un’opzione preferenziale per i poveri, che non è solo una scelta di vita ma una vera e profetica scelta di fede;
· sa di essere ospite in casa altrui, presso popoli che hanno una loro cultura, una loro vita sociale, un loro rapporto con Dio, che è necessario conoscere e rispettare. Per questo si incultura vivendo da testimone del “vangelo della carità”, intessendo relazioni con estrema discrezione, umiltà e attenzione all’altro;
· ricerca uno stile di vita sobrio, di una semplicità reale e visibile, sia personale che comunitario, per essere in solidarietà profonda con chi è povero, disperato e fatica a vivere dignitosamente per tanti motivi diversi;
· non cede alla tentazione di ricercare importanti incarichi né di ritenersi indispensabile. Il compito è quello di contribuire alla crescita della comunità locale perché assuma la guida della propria Chiesa;
· mantiene costantemente la comunione con la comunità di origine, ad esempio con frequenti contatti epistolari, perché questa possa condividere la missione e trarre forza per promuovere nuove vocazioni missionarie. Si parte infatti non come singole persone, ma come membri di una Chiesa che invia, a servizio con e di altri fratelli, preti e laici, celibi e sposati, donne e uomini;
· sa che la vita di comunione con gli altri fratelli, siano essi del luogo o missionari, è la prima e indispensabile testimonianza dei discepoli di Gesù, che hanno come sorgente della loro vita la Trinità;
· per alimentare la sua vocazione, che è innanzitutto dono di Dio, segue un progetto di vita, quotidiano e settimanale, personale e comunitario, basato sull’ascolto della Parola di Dio, che sia di sostegno alla propria vita spirituale. Almeno una volta l’anno vivrà un’esperienza di ritiro dalle proprie attività per dedicare alcuni giorni alla preghiera, all’ascolto e al rinvigorimento della propria vocazione mediante esercizi spirituali.
Domande:
a) Quali aspetti possono essere primari per una testimonianza il più fedele possibile al Vangelo (la preghiera, l’ascolto, la condivisione della parola, ecc.)?
b) Come intendere professionalità e servizio al Vangelo? In che modo mantenere un giusto equilibrio?
c) Quali strumenti per lavorare in missione (mezzi poveri, tecnologia, ecc.)?
5. Il rientro del laico missionario
1. Il laico missionario durante il servizio resta sempre in comunione e contatto con la comunità cristiana di origine, non solo e non tanto per facilitare il proprio reinserimento, ma per favorire un ritorno ed uno scambio di idee, di riflessioni e di esperienze tra Chiese.
2. Il laico missionario quando rientra collabora per una nuova società, ispirata ai valori del Regno, inserendovi logiche ed abitudini dettate dal rispetto delle persone, dall’attenzione agli ultimi, dalla gratuità, dalla condivisione e dalla familiarità con la Parola di Dio come ha appreso durante la permanenza in servizio. Il saper rientrare nel modo giusto è quindi importante tanto quanto il saper andare. Perciò il progetto dei laici missionari prevederà fin dall’inizio il rientro come momento qualificante di tutta l’esperienza.
3. I laici missionari rientrati devono accettare pazientemente la fatica di inserirsi nuovamente in comunità locali che, nel corso del tempo, si sono date strutture talvolta impegnative da gestire ed hanno ritenuto necessario sostenersi con una organizzazione piuttosto complessa. La invadenza delle normative civili alle volte richiede alla comunità cristiana attenzioni che sembrano frustrare il desiderio di semplicità nell’apostolato.
4. Le comunità cristiane siano preparate ad accogliere con disponibilità i semi di novità che questi missionari possono portare all’interno della pastorale. Sono da notare anzitutto le capacità acquisite dai laici di ritorno dal servizio alle giovani Chiese in ordine al rapporto con nazioni e popoli diversi, e rispetto alla nuova evangelizzazione.
5. Se accoglie il contributo dei missionari rientrati, la dimensione missionaria può davvero percorrere in modo trasversale tutti gli itinerari di catechesi, di liturgia e di carità come respiro indispensabile, come senso e fondamento della vita stessa della comunità cristiana e dell’essere Chiesa. Questo favorisce possibilità di cambiamento incarnate nelle scelte quotidiane: sobrietà nei consumi, uso solidale dei beni, commercio equo, obiezione di coscienza, risparmio etico, vacanze di servizio, volontariato sociale, accoglienza degli stranieri, solo per citarne alcune.
6. la formazione del laico missionario
1. L’ambito privilegiato per la preparazione dei laici missionari ad gentes potrebbe essere un apposito Corso di Formazione, di durata annuale, con l’obiettivo di garantire una adeguata preparazione. Agli aspiranti missionari sarà inoltre da offrire la documentazione necessaria affinché questi conoscano e approfondiscano, almeno a grandi linee, la storia, la situazione, il cammino ed i principali documenti ecclesiali della Chiesa che li accoglierà.
2. Il Corso di Formazione, possibilmente organizzato con la collaborazione e la competenza delle ONG di ispirazione cristiana, degli Istituti missionari, delle associazioni e dei movimenti aventi missioni, si collocherà entro le seguenti aree di studio:
· area storica
· area teologica, che comprende anche l’area biblica e morale
· area psico-socio-pedagogica
· area filosofica
· area missionaria
Insegnamenti dell’area missionaria:
· teologia della missione, con particolare riferimento a ecclesiologia e teologia della salvezza;
· alcune pagine bibliche rilevanti per la missione (Vangeli, Atti, Salmi, testi liturgici, testi narrativi dell’Antico Testamento);
· spiritualità missionaria;
· metodologia missionaria e dell’evangelizzazione, con particolare riferimento ad aspetti tipicamente culturali (simboli, iniziazione, concezione della persona ecc.);
· psicologia dell’esperienza religiosa (sètte, spiritismo ecc.)
· dottrina sociale della Chiesa, con particolare attenzione a tematiche inerenti all’impegno dei laici: famiglia, società politica, lavoro.
3. Durante il periodo di formazione, il laico missionario si impegnerà a stilare il progetto di vita personale quotidiano e settimanale. Inoltre, frequenterà l’Ufficio di Pastorale Missionaria della propria Diocesi, sia per conoscerne la struttura e le attività, sia per approfondire la reciproca conoscenza, sia per collaborare e partecipare attivamente all’animazione missionaria in diocesi.
4. Concluso il Corso di Formazione, se ritenuto idoneo dall’équipe responsabile del progetto, il laico missionario frequenterà un corso intensivo residenziale di lingua e cultura (es. presso il CUM di Verona).
5. È pure auspicabile, prevedere una visita al luogo dove verrà svolto il servizio prima di concludere la formazione, soprattutto se si tratta di famiglie. Conoscere, anche se solo per qualche settimana, la realtà diocesana che accoglie si rivela infatti un ottimo filtro per gli aspiranti alla partenza, sia da un punto di vista del ridimensionamento delle aspettative, sia come verifica della propria attitudine al servizio stesso.
6. Infine, nel caso di invio di comunità missionarie, composte da sacerdoti, consacrati e laici, prima della partenza dovrà essere previsto un periodo di vita in comune per accrescere la conoscenza, la familiarità e la stima reciproche e per stendere il progetto di vita comunitario.
6.1 Spunti biblici per la formazione
“E Gesù, avvicinatosi, disse loro: Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra.
Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni,
battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo,
insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato.
Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.
(Mt 28,18-20)
Il mandato missionario
1. In tutti i Vangeli compare un esplicito mandato da parte di Gesù ai suoi, affinché portino ovunque la buona notizia. In alcuni testi esso è formalmente rivolto ai dodici, in altri è esteso ai discepoli. Dalla loro lettura si ricavano alcune indicazioni generali:
a) Gesù affida personalmente e a suo nome la missione evangelizzatrice (Mt 28,16-20; Mc 3,13-19; Lc 24,44-53; At 1,6-11). Essa è affidata prima di tutto agli apostoli collettivamente. Nessuno contesta questo punto, né la posizione di “privilegio” di Pietro tra i dodici. Luca tuttavia già nel Vangelo allarga ad altri la missione (vedi Lc 10,1-20 e poi soprattutto gli Atti) vedendoli coinvolti nell’apostolato da Gesù stesso. Giovanni si muove addirittura in una prospettiva in cui è la comunità cristiana a divenire soggetto della missione (cfr. Gv 13,35). L’approfondimento della consapevolezza della comunità cristiana attestato dal Nuovo Testamento va dunque nella direzione di un sempre più ampio coinvolgimento di tutti i discepoli.
b) Il contenuto della missione consiste nell’annunciare il Regno e nel “guarire” da varie forme del male. Questi aspetti sono presentati come inscindibili. Giovanni e Luca, soprattutto, insistono sull’aspetto della testimonianza e insieme su quello della Parola (oltre ai loro rispettivi Vangeli, si vedano Apocalisse e Atti).
I collaboratori della missione
2. Nel Nuovo Testamento i cristiani battezzati appaiono consapevoli della responsabilità che hanno di annunciare il Vangelo, specialmente laddove soltanto attraverso la loro parola/testimonianza può essere conosciuto Gesù Cristo (At 8,4). Tale responsabilità è avvertita come nativa, e perciò attuata del tutto naturalmente. Hanno iniziativa e autonomia. Non sentono di avere permessi da chiedere, né gli apostoli avvertono di avere concessioni da fare. Mai da nessun apostolo vengono rimproverati (aiutati e corretti sì) per questo loro spontaneo lavorare per il vangelo (At 11,19-26).
3. L’apostolo ha un ruolo ben preciso, ma mai sostitutivo. Questo significa che per realizzare la sua missione ha strutturalmente bisogno di collaborazione. D’altra parte le varie Chiese locali sanno di essere in comunione di fede e di amore le une con le altre e di formare insieme l’unica Chiesa di Cristo. Per questo fin dai primissimi tempi ogni Chiesa locale sente la sollecitudine per tutte le Chiese, collabora con esse e va in aiuto di quelle più bisognose (cfr. Rm 15,25-28). Fin dall’inizio l’apostolo associa molti al suo ministero di evangelizzatore (cfr. Rm 16,1-16). Questi collaboratori prendono parte al ministero dell’evangelizzazione con modalità, tempi e competenze assai differenti. A volte sono designati dalla comunità, e poi semplicemente “confermati” dagli apostoli (come nel caso dei sette in At 6,1-6). Tra questi collaboratori alcuni predicano, altri insegnano, altri ancora semplicemente testimoniano il vangelo con il loro lavoro e con un servizio concreto alla comunità. Tra questi collaboratori “laici” vi sono persone che vivono in condizioni diverse. Vi sono coniugati (alcuni impegnati nel ministero come singoli, altri come coppie), celibi (alcuni per scelta definitiva, altri, come Filippo, soltanto per un periodo), itineranti, sedentari ecc.
4. La dinamica fondamentale della missione si dispiega tra invio (partenza) e ritorno. Entrambi questi momenti sono vissuti come momenti comunitari (At 13,1-3), e il ritorno è caratterizzato dal racconto delle meraviglie che lo Spirito ha operato attraverso i missionari (cfr. At 14,27-28).
6.2 Spunti dal Magistero per la formazione
1. Nel Magistero della Chiesa esistono orientamenti e linee guida circa la pastorale missionaria e in particolare rispetto alla presenza e al ruolo dei laici. Il punto di partenza è costituito dall’affermazione contenuta nell’enciclica Redemptoris Missio: “membri della Chiesa, in forza del Battesimo, tutti i cristiani sono corresponsabili dell’attività missionaria. La partecipazione della comunità e dei singoli fedeli a questo diritto-dovere è chiamata cooperazione missionaria” (RM 77).
2. Ma anche la Christifideles Laici offre abbondanti inviti ai laici: “Andate anche voi. La chiamata non riguarda soltanto i Pastori, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, ma si estende a tutti: anche i fedeli laici sono personalmente chiamati dal Signore, dal quale ricevono una missione per la Chiesa e per il mondo” (CL 2). La generosa risposta dei fedeli laici non è mai peraltro venuta a mancare, come ben sottolinea lo stesso documento: “In realtà il comando del Signore: ‘Andate in tutto il mondo’, continua a trovare molti laici generosi, pronti a lasciare il loro ambiente di vita, il loro lavoro, la loro regione o patria per recarsi, almeno per un determinato tempo, in zone di missione”(CL 35).
3. D’altro canto il Concilio Vaticano II ha precisato che la Chiesa è il Popolo di Dio, costituito dai battezzati nella fede trinitaria, nel quale, nonostante la diversità di ministeri, “vige tra tutti una vera uguaglianza riguardo alla dignità e all’azione comune a tutti i fedeli per l’edificazione del corpo di Cristo” (LG 32). Esiste, quindi, una piena corresponsabilità per la realizzazione della missione della Chiesa, che è basata fondamentalmente sul battesimo e la cresima (cfr. LG 32) e che è comune ai pastori, ai consacrati e ai laici.
4. Anche ai laici è perciò rivolto l’invito “ad andare nella vigna” (cfr. CL 2) e “di annunciare e instaurare in tutte le genti il regno di Cristo e di Dio” (LG 5). Deve quindi trovare spazio “una rinnovata e aggiornata esperienza di laici per la missione ad gentes e per la cooperazione missionaria, che valorizzino anche il prezioso apporto delle donne e delle coppie cristiane attraverso ministeri e servizi di evangelizzazione e crescita ecclesiale” (CEI – I laici nella missione ad gentes…, n. 29).
5. Il dovere della formazione dei laici alla missione spetta alla Chiesa particolare: “Mettendo a frutto i doni che lo Spirito fa a ciascuno e avendo presente la varietà dei compiti missionari, occorre realizzare una partecipazione dei laici alla missione evangelizzatrice più adeguata ai diversi tipi e ambiti di servizio. Non solo nel settore della solidarietà, della giustizia e dello sviluppo umano, ma anche in quello dell’annuncio di Cristo e della catechesi, della crescita della comunità ecclesiale, del dialogo interreligioso l’azione dei laici è richiesta e feconda. Essi sono inoltre necessari per testimoniare, in maniera incisiva e credibile, certi valori morali a livello della famiglia e della società, in virtù delle loro condizioni ed esperienze di vita” (CEI – I laici nella missione ad gentes…, n. 57).
6. Certamente la formula che si rivela più fruttuosa è quella di inviare una comunità di missionari, composta da sacerdoti, religiosi, consacrati e da laici singoli, coppie o, in maniera ancora più significativa, famiglie. “L'uomo contemporaneo crede più ai testimoni che ai maestri, più all'esperienza che alla dottrina, più alla vita e ai fatti che alle teorie… La prima forma di testimonianza è la vita stessa del missionario della famiglia cristiana e della comunità ecclesiale, che rende visibile un modo nuovo di comportarsi… La testimonianza evangelica, a cui il mondo è più sensibile, è quella dell'attenzione per le persone e della carità verso i poveri e i piccoli, verso chi soffre” (RM 42). In queste piccole comunità i missionari possono testimoniare la fraternità, condividendo gli impegni di evangelizzazione e di promozione umana con i fedeli della diocesi che li accoglie. Infatti, il lavoro in gruppo dove carismi e vocazioni diversi si confrontano e si completano permette agli uni e agli altri di vivere in maniera più ampia la comunione ecclesiale e di aprirsi all’ascolto degli altri, favorendo così il coinvolgimento dei laici locali, che hanno veramente tanto da insegnarci anche in ambiti di servizio per consuetudine occupati dal clero.
7. In questo modo si attuerà veramente lo scambio e la cooperazione tra le Chiese: “Non si può parlare di Chiese ricche e di Chiese povere. La questione sta in altri termini… si tratta di scambievole collaborazione […]. Le Chiese considerate povere possono soprattutto comunicare le loro esperienze pastorali che spesso sono utilissime: metodi pastorali più semplici ma più efficaci, valorizzazione dei laici, promozione delle piccole comunità” (Postquam Apostoli 15).