Gli auguri di Natale di don Gherardo Gambelli
Carissimi/e,
La festa di Natale si avvicina e approfitto di questo momento dell’anno per farvi giungere qualche notizia da N’Djamena, insieme agli auguri. Negli ultimi mesi sono successe molte cose, ma certamente l’evento più bello che abbiamo vissuto, è stato l’ingresso nella nuova canonica, che ci è stata finalmente consegnata, il sabato 14 settembre. Appena rientrati dall’assemblea diocesana, con il vice-parroco (l’abbé Alain), al mattino presto, abbiamo completato il trasloco e la sera, per la prima volta, abbiamo potuto mangiare e dormire nella nuova casa. Prima di cenare, abbiamo recitato insieme i Primi Vespri della domenica, alla luce di un’efficacissima lampada da campeggio, ricaricabile a mano, prezioso dono di un amico di Firenze. È stato un momento molto bello di preghiera e, ripetendo insieme le parole del Salmo 122: “Quale gioia quando mi dissero andremo alla casa del Signore”, abbiamo potuto ringraziare Dio e forse anche intuire qualcosa di quella letizia senza fine alla destra del Signore, che ci attende nella sua casa alla fine del nostro pellegrinaggio sulla terra.
Insieme a noi, quest’anno, c’è un seminarista che ha terminato il ciclo di filosofia a Sarh, a cui è stato chiesto di fare un anno di stage pastorale, prima di continuare la formazione teologica a N’Djamena. Nel fine settimana, ci raggiunge un diacono del Seminario di Bakara, che sta terminando la sua preparazione in vista dell’ordinazione sacerdotale il prossimo anno. Il sabato e la domenica, le quattro stanze della canonica sono dunque tutte occupate. Fin da subito, ho deciso allora di trasformare l’ufficio del parroco in una quinta stanza per poter aumentare un po’ le nostre possibilità di accoglienza. Molti preti giovani delle diocesi del sud vengono spesso nella capitale, per partecipare a degli incontri o per rinnovare i loro documenti. Il fatto di poterli ospitare e scambiare due parole con loro è sempre un grande dono; apprezzo in particolare la fede che li sostiene nell’annunciare la Parola del Signore nei posti più sperduti e le loro belle intuizioni pastorali per accompagnare la trasmissione del vangelo, con l’impegno concreto in favore della giustizia e della pace.
Nella nostra parrocchia, da alcuni mesi, è nato un gruppo di riflessione biblica. Dopo una serie di incontri sugli elementi essenziali della costituzione Dei Verbum del Concilio Vaticano II, alcuni giovani mi hanno chiesto di poter iniziare un percorso di lettura e approfondimento della Sacra Scrittura. Con l’aiuto dell’Apostolato Biblico del Ciad, siamo riusciti a procurarci delle Bibbie a un prezzo molto conveniente e degli strumenti per la riflessione personale e comunitaria. Le schede per la formazione di un cerchio biblico per principianti, elaborate dall’esegeta brasiliano Carlos Mesters, ci sono state di grande aiuto. I membri del gruppo hanno potuto così familiarizzare col metodo della lettura popolare della Bibbia, partendo sempre da un fatto di vita prima di accostarsi al testo e concludendo con la preghiera e un impegno concreto personale o comunitario. Alla fine del percorso, ho suggerito loro di provare a creare essi stessi delle schede sul Vangelo di Marco e, dopo alcune difficoltà iniziali, il lavoro comincia a dare i primi frutti. In un momento di condivisione uno dei giovani ha detto con convinzione: “Da quando ho iniziato ad accostarmi in maniera seria alla Parola di Dio, la mia vita non è più la stessa. Adesso prima di agire rifletto e trovo la forza per dire no alla pigrizia, all’egoismo, agli atteggiamenti disonesti”. Posso confermare che non sono solo belle parole, anche se a causa del problema dell’istruzione, i giovani che arrivano a poter leggere e capire la Bibbia sono purtroppo pochi. Quest’anno i risultati del BAC, l’equivalente del nostro esame di maturità, sono stati catastrofici: soltanto l’8% dei candidati ha ottenuto il diploma. Nelle scuole pubbliche soprattutto, le classi sono stracolme, formate talvolta anche da 90 ragazzi, gli insegnanti sono pagati male e in ritardo. Nei mesi di marzo e aprile inoltre, il caldo asfissiante e la mancanza di energia elettrica durante il giorno, rendono tutto più complicato. Il governo annuncia grandi progetti di riforma, ma per il momento non si vedono cambiamenti significativi. Con il Consiglio pastorale, ci siamo posti il problema e abbiamo pensato ad alcune possibili soluzioni, in primo luogo quella di migliorare ulteriormente il servizio offerto dalla nostra biblioteca parrocchiale. In tal senso, la presenza a N’Djamena nel mese di ottobre di Guido e Isabella, due giovani di Firenze, è stata davvero provvidenziale. Già dalla prima settimana, con grande entusiasmo, si sono “buttati” con tutte le forze nel lavoro delle iscrizioni alla biblioteca. Poi Guido che studia matematica, si è offerto per dare una mano nel liceo dei Volontari, una piccola scuola vicino alla parrocchia formata da un’associazione interconfessionale, dove insegnano alcuni nostri parrocchiani. All’inizio, parlava in inglese e un altro insegnante traduceva in francese, ma poi ha iniziato a fare da solo mescolando le lingue un po’ come Benigni nel film “Non ci resta che piangere”. Il risultato è stato straordinario, perché con l’umorismo è stato capace di trasmettere ai giovani la passione per la matematica, tenendo sempre viva la loro attenzione durante le lezioni. Nel tempo libero invece, Isabella è stata capace di stringere amicizia con molte ragazze della parrocchia, mettendo a disposizione le sue competenze di cucina italiana e ricevendo in cambio le nozioni essenziali dell’arte della coiffure ciadiana, specializzata nelle trecce dei capelli. Uno dei momenti più divertenti che abbiamo passato insieme, è stato seguire la partita di calcio Fiorentina Juventus il pomeriggio della domenica 20 ottobre. In un cine-club, non lontano dalla parrocchia, all’inizio eravamo solo noi e alcuni nostri amici ciadiani a seguire la partita su Al-Jazeera sport, con il commento rigorosamente in arabo. Alla fine del primo tempo, sotto di due reti e con un caldo asfissiante, eravamo un po’ rassegnati alla sconfitta. Poi invece la rimonta, mentre la sala comincia a riempirsi di giovani che tifano per noi e alla fine, una vittoria memorabile. Tutti in piedi battiamo le mani increduli e ci scambiamo il cinque con degli sconosciuti, felicissimi come se avesse vinto la loro squadra del cuore. Ti viene da pensare che la gente qui è purtroppo abituata alle guerre, alle delusioni e alle amarezze che provocano inevitabilmente disperazione e rassegnazione. E quando vedono un’impresa sportiva di questo genere, si appassionano tantissimo perché sentono che qualcosa di simile può avvenire per loro, nella realtà. La fede nel Signore, in questo senso, è ciò che permette di aprire il cuore alla speranza e di trovare, soprattutto nelle gioia delle celebrazioni liturgiche, la forza per ripartire davanti alle sofferenze e alle difficoltà della vita. San Vincenzo de’ Paoli diceva che Dio ama i poveri e di conseguenza ama coloro che amano i poveri. Sono ancora ben lontano dal riuscire a amare veramente i poveri, ma stando loro vicino mi accorgo della loro straordinaria capacità di accogliere il dono della fede e di confidare sempre nella vicinanza di Dio. E allora, come suggerisce papa Francesco, mi piace molto stare dietro al gregge che ha fiuto nel trovare la strada giusta che conduce alla salvezza.
È la fede semplice che si manifesta nei piccoli e bellissimi gesti di carità, come quello di Awoua, al campo vocazionale nel mese di agosto. Una sera, dopo una giornata intensa di riflessione personale e comunitaria, le nostre cuoche avevano fatto male i conti e il cibo era poco. Un po’ di riso in bianco e un bicchiere di tè, mi ero già messo nello stato d’animo di fare un po’ di penitenza. Mentre aspettavamo di vedere un film insieme, ecco che Awoua si avvicina e mi offre un po’ dei suoi biscotti. Mi ha colpito moltissimo questo suo gesto di amicizia, fatto con semplicità e naturalezza, che mi ha rivelato ancora una volta la straordinaria capacità delle persone povere di condividere con generosità il poco che hanno. Posso dirvi che rare volte nella vita mi è capitato di mangiare cose così buone, perché quei biscotti nutrivano insieme il corpo e il cuore. Mi sono venute in mente le parole del libro del Deuteronomio, quando ci ricorda l’uomo non vive di solo pane, ma di quanto esce dalla bocca di Dio (Dt 8,3), cioè della sua Parola, che per me in quel momento si è come “incarnata”.
È la fede di Denis un giovane della parrocchia che, alla fine di maggio, mi aveva chiesto un aiuto economico per affrontare una difficile situazione familiare e che, dopo il mio ritorno dalle vacanze, facendo qualche lavoretto, si sta impegnando a restituire i soldi, dicendo che potrebbero servire ad altri che si trovano ora nel bisogno. Un bell’insegnamento, che mi ricorda quanto dice san Francesco quando parla del condividere i beni come “restituzione” di un prestito che ci è stato fatto dal Signore. Certo non è facile vivere l’attenzione nei confronti del prossimo in questo modo, ma stando un po’ dietro al gregge osservo e cerco di imitare questi esempi, come un allievo davvero fortunato alla scuola di ottimi insegnanti. Mi rendo conto che c’è in gioco qualcosa di grande: la gioia e la vita eterna. Vorrei condividere in tal senso una bella riflessione che ho trovato nel libro di T. Radcliffe (Prendi il largo, p. 73): “La gioia più pura e spontanea si trova spesso dove non c’è più niente da perdere. Uno dei miei confratelli, Brian Pierce, camminava malinconico tra le baracche di Lima e si imbatté in due ragazzini che giocavano a Jacks, un gioco che anch’io facevo spesso da bambino: si dispongono dei piccoli oggetti di metallo sul piano, con una mano si getta in alto la pallina e, mentre è in aria, con la stessa mano si raccolgono quanti più pezzi di metallo si riesce, facendo attenzione a riprendere la pallina prima che tocchi per terra. Giocando, i due ragazzi ridevano e scherzavano. Solo che non avevano alcuna pallina! La immaginavano. Stavano creando allegramente il gioco dal nulla. E Brian disse: ‘Questa è un’immagine di Dio: sorride e gioisce mentre crea dal nulla’. La loro gioia non poteva essere distrutta dalla perdita della palla, perché non avevano nulla da perdere”.
Questa capacità di creare dal nulla è tipica dei giochi anche di tanti bambini di N’Djamena, ma più in generale è una qualità delle persone semplici e umili che sanno trovare soluzioni geniali nelle situazioni più complicate. Forse, proprio per questo, il Signore Gesù ha scelto Maria e Giuseppe per venire nel mondo. Trasformare una stalla in una casa e una mangiatoia in una culla è possibile solo a chi non ha più niente da perdere e per Dio non c’è un luogo più bello ai suoi occhi, per manifestare la sua gloria e il suo amore. Che il nostro cuore divenga sempre più quella culla-mangiatoia! Buon Natale, con affetto d. Gherardo.
P.S. Desidero ancora una volta ringraziare quanti hanno contribuito per la costruzione e l’arredamento della nuova canonica. Questo gesto di attenzione, soprattutto da parte dell’Arcidiocesi di Firenze, acquista un valore ancora più grande oggi, come segno di solidarietà nella prova che la giovane Chiesa di N’Djamena sta vivendo, dopo la morte improvvisa del suo primo Arcivescovo ciadiano Mons. Mathias Ngarteri, il 19 novembre scorso. Il Signore certamente non mancherà di far fruttificare i semi di bene che sono stati gettati qui e da voi. Anche per questo, a Lui la nostra lode.